Il 30 gennaio la Corte di Giustizia dell’Unione europea (Quarta sezione) ha emesso un’altra sentenza interessante ai nostri fini. Si trattava del caso Diakité (C-285/12), di interpretazione della Direttiva Qualifiche e,  più precisamente, del suo articolo 15 c), in risposta ad una domanda di pronuncia pregiudiziale avanzata alla Corte da parte di un giudice belga. 

La sentenza fa riferimento alla Direttiva 2004/83/CE, che è stata come sappiamo sostituita dalla “nuova Direttiva Qualifiche” (2011/95/UE), ma l’interpretazione rimane valida, in quanto il testo dell’art. 15 è rimasto identico anche nella nuova Direttiva.



L’art. 15 c) della Direttiva Qualifiche, peraltro, è uno dei più interessanti ed importanti in quanto contiene una delle tre possibili declinazioni del “danno grave” posta a fondamento del riconoscimento della protezione sussidiaria e, sicuramente, quella più problematica, anche a causa di un testo confuso, di non semplice interpretazione. 
Eccolo:

“Sono considerati danni gravi 

[…]

c) la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”




Già nel 2009, con la sentenza Elgafaji (C-464/07), la Corte di Giustizia aveva fornito l’interpretazione di questa lettera c) dell’art. 15, soffermandosi in particolare sul significato da attribuire all’espressione “violenza indiscriminata”, in rapporto alla necessità che si tratti comunque di una “minaccia individuale”. Ci torneremo sotto.



I fatti alla base della controversia
Il sig. Diakité, guineano, presentava una domanda di asilo in Belgio nel 2008, basata sulla sua partecipazione ai movimenti di protesta contro il nuovo regime. 
La sua domanda veniva respinta e il caso arrivava fino al Consiglio di Stato, davanti al quale il richiedente contestava che il rigetto fosse basato sulla definizione di “conflitto armato” elaborata dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugolavia. 
Il Consiglio di Stato belga sospendeva il procedimento e sottoponeva alla Corte di Giustizia la domanda pregiudiziale alla base della sentenza di cui ci occupiamo oggi, e cioè se l’espressione “conflitto armato interno” di cui all’art. 15 lett. c) della Direttiva Qualifiche debba essere interpretata con riferimento al diritto internazionale umanitario (in particolare le Convenzioni di Ginevra del 1949) e, in caso di risposta negativa, quali siano i criteri da applicare per valutare l’esistenza di un “conflitto armato interno”.


La risposta della Corte

La Corte rileva innanzitutto (par. 20 della sentenza) che l’espressione “conflitto armato interno”  utilizzata dal legislatore dell’Unione è diversa da quelle alla base del diritto internazionale umanitario (che distingue i “conflitti armati internazionali” dai “conflitti armati che non presentano carattere internazionale”). 
Inoltre, i giudici di Lussemburgo sottolineano come il diritto internazionale umanitario (che mira a fornire protezione alle popolazioni civili nella zona di conflitto), e il regime della protezione sussidiaria, che mira invece a proteggere persone che si trovano al di fuori della zona di conflitto, “perseguono scopi diversi e istituiscono meccanismi di protezione chiaramente separati” (par. 23 e 24). 

Pertanto, la nozione di “conflitto armato interno” deve essere interpretata in modo autonomo rispetto alla definizione accolta dal diritto internazionale umanitario, sulla base del significato abituale “nel linguaggio corrente”, prendendo in considerazione il contesto e gli obiettivi perseguiti dalla normativa. (par. 27)
E “[n]el suo significato abituale nel linguaggio corrente, la nozione di conflitto armato interno si riferisce ad una situazione in cui le forze governative di uno Stato si scontrano con uno o più gruppi armati o nella quale due o più gruppi armati si scontrano tra loro”. (par. 28)

Dopo aver fornito la definizione di conflitto armato interno ai fini della protezione sussidiaria, la Corte passa poi ad analizzare quando, dato un conflitto armato interno, si potrà arrivare alla concessione di questa protezione
E, per farlo, si rifà alla già citata sentenza Elgafaji. In particolare, secondo la Corte, l’esistenza di un conflitto armato interno potrà portare, di per sé, alla concessione della protezione sussidiaria solamente in circostanze eccezionali, ovvero quando gli scontri generino un grado di violenza indiscriminata talmente elevato che un civile correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire una minaccia grave e individuale alla sua vita o alla sua persona (par. 30). 

Invece, tanto più il richiedente può dimostrare di essere colpito in modo specifico – per via della sua situazione personale – tanto meno elevato sarà il grado di violenza indiscriminata richiesto per il riconoscimento della protezione sussidiaria. (par. 31)




I giudici, poi, escludono che, per valutare l’esistenza di un conflitto armato, serva valutare, in maniera distinta dal livello di violenza generato, l’intensità degli scontri: “[l]a constatazione dell’esistenza di un conflitto armato non deve essere subordinata ad un livello determinato di organizzazione delle forze armate presenti o ad una durata particolare del conflitto”. (par. 34) 
Detta altrimenti, ciò che rileva per la Corte è l’effetto, ovvero se gli scontri (di cui al par. 28, V. sopra) in cui tali forze sono impegnate generino il livello di violenza indiscriminata necessario per far scattare il bisogno di protezione. 


Questa dunque la risposta della Corte alla domanda di pronuncia pregiudiziale del giudice belga:

“L’articolo 15, lettera c), della [Direttiva Qualifiche] deve essere interpretato nel senso che si deve ammettere l’esistenza di un conflitto armato interno, ai fini dell’applicazione di tale disposizione, quando le forze governative di uno Stato si scontrano con uno o più gruppi armati o quando due o più gruppi armati si scontrano tra loro, senza che sia necessario che tale conflitto possa essere qualificato come conflitto armato che non presenta un carattere internazionale ai sensi del diritto internazionale umanitario e senza che l’intensità degli scontri armati, il livello di organizzazione delle forze armate presenti o la durata del conflitto siano oggetto di una valutazione distinta da quella relativa al livello di violenza che imperversa nel territorio in questione.”


Vai alla sentenza della CGUE nel caso Diakité