Recenti episodi, largamente noti, di “chiusura” delle frontiere interne all’Unione europea ci offrono lo spunto per approfondire un tema d’indubbio interesse ai nostri fini, quale quello della legittimità, ai sensi del diritto europeo, del ripristino unilaterale dei controlli di frontiera.

Introduzione – Il “caso Ventimiglia”
Nei fatti, è la seconda volta in poco più di quattro anni che la Francia decide unilateralmente di reintrodurre de facto i controlli di frontiera nella zona di Ventimiglia.

La prima era stata nel 2011, dopo l’avvicendarsi delle rivolte in Nord Africa, ricordate con l’espressione “primavera araba”. Iniziativa, quella francese, che la Commissione europea aveva in seguito ritenuto compatibile con il diritto UE.
Oggi, nell’estate del 2015, la Francia ha disposto nuovamente un blocco dei cittadini di Paesi terzi provenienti dal territorio italiano (via Ventimiglia).

In occasione dell’incontro che si è tenuto il 21 giugno scorso tra Matteo Renzi e François Hollande, a margine della visita di quest’ultimo all’Expo di Milano, il Capo di Stato francese ha dichiarato che la Francia, con il blocco dei migranti a Ventimiglia, non ha fatto altro che applicare le regole dell’UE e che la frontiera non è stata chiusa, ma sono stati stabiliti dei controlli. 
A sua volta, nel rigettare il ricorso presentato da tre associazioni, in una ordinanza del 29 giugno, il Consiglio di Stato francese ha concluso che i controlli di frontiera imposti nella zona di Ventimiglia sono legittimi e non violano in nessun modo l’accordo di Schengen, in quanto la soppressione dei controlli sistematici alle frontiere da questo introdotto non preclude alle autorità francesi di eseguire controlli sull’identità delle persone.

Senza voler entrare nel merito di quell’ordinanza, né di quanto successo alla frontiera di Ventimiglia tra Francia e Italia (per la cui analisi rimandiamo a questo documento di asgi), ci preme chiarire quando si possa parlare di esercizio legittimo di competenze di polizia o, piuttosto, di reintroduzione (consentita o meno) di controlli a una frontiera interna.

Ciò, peraltro, risulta tanto più utile in quanto anche altri Paesi hanno adottato o hanno minacciato di adottare un sistema rigido di controlli.
La risposta a questo quesito ci impone di ricordare innanzitutto il quadro giuridico rilevante. 




I. Il quadro giuridico rilevante

Conformemente alle disposizioni qui di seguito citate, in materia di frontiere interne (terrestri, aeroporti e porti marittimi adibiti al traffico interno), l’Unione sancisce il principio generale dell’assenza dei controlli, riconosce la competenza degli Stati membri a organizzare operazioni di polizia che non si configurino come misure aventi l’effetto equivalente ai controlli di frontiera e contempla la possibilità del ripristino eccezionale e temporaneo di questi ultimi.

L’art. 67, par. 2, del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE) prevede che: “

[l’Unione] garantisce che non vi siano controlli sulle persone alle frontiere interne”.

Ai sensi dell’art. 77, par. 1, TFUE: “[l]’Unione sviluppa una politica volta a: 
a) garantire l’assenza di qualsiasi controllo sulle persone, a prescindere dalla nazionalità, all’atto dell’attraversamento delle frontiere interne”.

In attuazione di questo disposto del trattato, l’art. 20 del regolamento 562/2006 (cosiddetto codice di frontiere Schengen) intitola il suo capo I “Soppressione del controllo di frontiera alle frontiere interne” e prevede come segue:

[l]e frontiere interne possono essere attraversate in qualunque punto senza che sia effettuata una verifica di frontiera sulle persone, indipendentemente dalla loro nazionalità” (art. 20);

Tuttavia, l’art. 21 dello stesso regolamento prosegue, introducendo una deroga alla regola generale:

[l]a soppressione del controllo di frontiera alle frontiere interne non pregiudica: 
a) l’esercizio delle competenze di polizia da parte delle autorità competenti degli Stati membri in forza della legislazione nazionale, nella misura in cui l’esercizio di queste competenze non abbia effetto equivalente alle verifiche di frontiera; ciò vale anche nelle zone di frontiera. Ai sensi della prima frase, l’esercizio delle competenze di polizia può non essere considerato equivalente, in particolare, all’esercizio delle verifiche di frontiera quando le misure di polizia: i) non hanno come obiettivo il controllo di frontiera; ii) si basano su informazioni e l’esperienza generali di polizia quanto a possibili minacce per la sicurezza pubblica e sono volte, in particolare, alla lotta contro la criminalità transfrontaliera; iii) sono ideate ed eseguite in maniera chiaramente distinta dalle verifiche sistematiche sulle persone alle frontiere esterne; iv) sono effettuate sulla base di verifiche a campione; 
b) il controllo di sicurezza sulle persone effettuato nei porti o aeroporti dalle autorità competenti in forza della legislazione di ciascuno Stato membro, dai responsabili portuali o aeroportuali o dai vettori, sempreché tale controllo venga effettuato anche sulle persone che viaggiano all’interno di uno Stato membro;
c) la possibilità per uno Stato membro di prevedere nella legislazione nazionale l’obbligo di possedere o di portare con sé documenti d’identità;
d) l’obbligo per i cittadini di paesi terzi di dichiarare la loro presenza nel territorio di uno Stato membro ai sensi delle disposizioni dell’articolo 22 della convenzione di Schengen

In altri termini, la disposizione appena citata (e più in particolare la deroga contemplata nella lettera a) ricorda che le operazioni di polizia restano di competenza delle autorità degli Stati membri, che devono in ogni caso esercitarla nel rispetto dei limiti fissati dal diritto UE

Le operazioni di polizia, eseguite o no nelle zone di frontiera, non devono consistere in controlli di frontiera dissimulati, vietati tassativamente dalla normativa UE. Non devono quindi:

  • avere come unico obiettivo il controllo di frontiera;
  • essere caratterizzati dalla sistematicità.


Sono quindi da considerare conformi al diritto UE solo le operazioni di polizia che:

  1. sono volte a far fronte a possibili minacce per la sicurezza pubblica ovvero alla lotta contro la criminalità transfrontaliera;
  2. sono ideate ed eseguite a campione.


Peraltro, la portata di questa disposizione è stata chiarita in due distinte pronunce della Corte di giustizia UE.

II. L’interpretazione della Corte di Giustizia

Nel caso Melki e Abdeli, la Corte è stata chiamata a decidere della conformità con questa disposizione di una norma di legge francese che consente alle autorità di polizia di effettuare controlli di identità su qualsiasi persona – indipendentemente dal comportamento di quest’ultima e da circostanze particolari che dimostrino una minaccia per l’ordine pubblico e al mero fine di verificare il rispetto degli obblighi di legge riguardo al possesso, al porto e all’esibizione di titoli e documenti – in una zona di 20 chilometri a partire dalla frontiera terrestre con gli altri Stati parti della convenzione di Schengen. 
Ricordato che l’effetto equivalente a un controllo di frontiera non può discendere dal mero fatto che l’operazione di polizia sia condotta in zona frontaliera, la Corte ha concluso che una siffatta norma di legge deve sempre considerarsi contraria al diritto UE – e più precisamente agli artt. 67, n. 2, TFUE, e 20 e 21 del regolamento 562/2006 – laddove non contempli la “necessaria delimitazione di tale competenza, atta a garantire che l’esercizio pratico di quest’ultima non possa avere un effetto equivalente a quello delle verifiche di frontiera”. (par. 75 della sentenza)

Nel caso Adil, la Corte ha dovuto confrontarsi con una norma di legge olandese, segnatamente diversa da quella francese per quel che riguarda i limiti della competenza attribuita alle autorità nazionali. In effetti, se, conformemente a questa norma, i funzionari incaricati della sorveglianza di frontiera e del controllo degli stranieri sono nuovamente autorizzati a effettuare controlli in una zona geografica di 20 chilometri dalla frontiera terrestre tra questo Stato membro e gli altri Stati parti dello spazio Schengen, dall’altro lato si precisa che detti controlli:
– sono “diretti a verificare se le persone fermate soddisfino i requisiti di soggiorno regolare applicabili nello Stato membro interessato”, 
– si basano “su informazioni generali e dati dell’esperienza in materia di soggiorno irregolare di persone nei luoghi dei controlli”, 
– possono “essere parimenti effettuati in misura limitata per ottenere informazioni generali siffatte e dati dell’esperienza in tale materia”,
– devono rispettare “talune limitazioni relative, segnatamente, alla loro intensità ed alla loro frequenza”. (par. 38 della sentenza)

Riprendendo le argomentazioni svolte nella pronuncia relativa al caso Melki e Abdeli, la Corte ha concluso nel senso che gli artt. 20 e 21 del regolamento 562/2006 “non ostano ad una legislazione nazionale, quale quella di cui trattasi nel procedimento principale”, in quanto le condizioni da questi contemplate sono soddisfatte.

III. La modifica normativa del 2013

Lasciando inalterata la competenza di polizia attribuita agli Stati membri – che come ci ricorda la Corte deve essere esercitata nel rispetto del diritto UE – sul finire del 2013 il legislatore dell’UE ha adottato il regolamento 1051/2013 che modifica il codice di frontiere Schengen al fine di introdurre la disciplina dettagliata sul ripristino temporaneo dei controlli di frontiera e rispondere così all’appello lanciato apertamente dalla Francia e da altri Stati membri. 

Il regolamento 1051/2013 ammette la possibilità per gli Stati membri di ripristinare temporaneamente i controlli di frontiera, precisando altresì che deve trattarsi di una soluzione di extrema ratio, conforme alle condizioni e procedure espressamente contemplate.

Conformemente al suo considerando n. 2: “[i]n uno spazio senza controllo alle frontiere interne, occorre una risposta comune alle situazioni che incidono gravemente sull’ordine pubblico o sulla sicurezza interna di tale spazio, di alcune sue parti o di uno o più Stati membri, che autorizzi il ripristino temporaneo del controllo alle frontiere interne in circostanze eccezionali senza compromettere il principio della libera circolazione delle persone. Considerato l’impatto che possono avere tali misure di extrema ratio su tutti coloro che esercitano il diritto di circolare nello spazio senza controllo alle frontiere interne, è opportuno stabilire le condizioni e le procedure per il ripristino di tali misure al fine di assicurare il carattere eccezionale delle stesse e che sia rispettato il principio di proporzionalità. L’estensione e la durata del ripristino temporaneo di tali misure dovrebbero essere limitate allo stretto necessario per rispondere a una grave minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza interna”. 

Peraltro, ai sensi del considerando n. 5: “[l]a migrazione e l’attraversamento delle frontiere esterne di un gran numero di cittadini di paesi terzi non dovrebbero in sé essere considerate una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza interna”.

Le ipotesi contemplate dal regolamento sono le seguenti:

1. Ripristino temporaneo per minaccia grave all’ordine pubblico o alla sicurezza nazionale – situazioni prevedibili – Ripristino valido per 30 giorni prorogabili fino a un massimo di 6 mesi (artt. 23 e 24 del codice di frontiere Schengen come modificato);

2. Ripristino temporaneo per minaccia grave all’ordine pubblico o alla sicurezza nazionale – situazioni non previste o urgenze – Ripristino immediato e valido per 10 giorni prorogabili di intervalli di 20 giorni fino a un massimo di 2 mesi (art. 25 del codice di frontiere Schengen come modificato);

3. Ripristino temporaneo per circostanze eccezionali che mettono a rischio il funzionamento globale dello spazio senza controllo delle frontiere interne – Ripristino valido per 30 giorni prorogabili fino a 6 mesi, a loro volta prorogabili di intervalli di 6 mesi fino a un massimo di 2 anni (art. 26 del codice di frontiere Schengen come modificato).

Con riferimento a tutte e tre le ipotesi contemplate, il regolamento 1051/2013 definisce la procedura da seguire. 

L’attivazione della prima e seconda ipotesi prevede una procedura articolata in più fasi:

notifica preventiva/contestuale della misura (motivi, estensione geografica, durata temporale, impatto del ripristino sugli altri Stati membri) alla Commissione e agli Stati membri;
informativa alle altre istituzioni, Parlamento e Consiglio;
– emissione (facoltativa) di un parere da parte della Commissione e degli altri Stati membri;
consultazioni tra Commissione e Stati membri.

L’attivazione della terza ipotesi – che è strettamente collegata a quella della sussistenza di carenze gravi e persistenti nel controllo di frontiera alle frontiere esterne di uno Stato membro (art. 19 bis del codice di frontiere Schengen) – prevede una procedura più complessa, con il coinvolgimento immediato del Consiglio, il quale, su proposta della Commissione, adotta una raccomandazione diretta a uno o più Stati membri, per suggerire l’adozione, come extrema ratio, di una misura volta a ripristinare il controllo di frontiera in tutte le rispettive frontiere interne o in parti specifiche delle stesse. Da parte sua, prima di adottare tale misura, lo Stato membro interessato ne informa tempestivamente gli altri Stati membri, il Parlamento e la Commissione.

Inoltre, ai sensi dell’art. 29 dello stesso regolamento, come modificato: “[e]ntro quattro settimane dalla soppressione del controllo di frontiera alle frontiere interne, lo Stato membro che ha effettuato tale controllo di frontiera alle frontiere interne presenta al Parlamento europeo, al Consiglio e alla Commissione una relazione sul ripristino del controllo di frontiera alle frontiere interne precisando, in particolare, la valutazione iniziale e il rispetto dei criteri di cui agli articoli 23 bis, 25 e 26 bis, il funzionamento delle verifiche, la cooperazione pratica con gli Stati membri confinanti, l’impatto risultante sulla libera circolazione delle persone, l’efficacia del ripristino del controllo di frontiera alle frontiere interne, compresa una valutazione ex-post della proporzionalità del ripristino del controllo di frontiera”.

Ultimo, ma non meno importante, l’art. 30 prevede che “[l]a Commissione e lo Stato membro interessato informano in maniera coordinata il pubblico di qualunque decisione di ripristinare il controllo di frontiera alle frontiere interne e indicano, in particolare, le date in cui tale misura ha inizio e fine, salvo che lo impediscano imprescindibili motivi di sicurezza”.

Conclusione

In mancanza delle condizioni necessarie, di una procedura conforme a quanto detto sopra, nonché delle obbligatorie informazioni, ogni operazione che equivalga ad un ripristino di controlli di frontiera deve considerarsi contraria al codice di frontiere Schengen e, pertanto, illegittima. 

La normativa sui controlli alle frontiere è stata votata e accettata dagli Stati membri, anche (non dimentichiamolo) per godere dei vantaggi economici derivanti dall’appartenenza all’area Schengen ed è quindi doveroso chiedere che la stessa sia rispettata e fatta osservare. Dal canto suo, la Commissione ha il compito istituzionale di far rispettare la normativa europea e deve dunque essere chiamata a difendere le regole in vigore.