Oggi ci occupiamo di una sentenza molto importante della Corte di Giustizia dell’UE, emessa dalla IV sezione il 6 giugno scorso nella causa C-648/11 (MA, BT, DA). 
Si tratta di una domanda di pronuncia pregiudiziale, avanzata da un giudice britannico, sull’interpretazione del Regolamento Dublino – e in particolare dell’art. 6 comma 2 – in merito al caso di tre richiedenti asilo minorenni, senza familiari legalmente presenti in uno Stato membro dell’UE, che avevano proposto domanda di asilo in più di uno Stato membro

Con la decisione che analizzeremo nelle righe che seguono, la Corte stabilisce con grande chiarezza quale sia lo Stato responsabile per l’esame della domanda di asilo in questi casi, facendo riferimento sia al testo e all’obiettivo del Regolamento Dublino, sia al principio dell’interesse superiore del minore, sancito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE, considerato tra l’altro che  i minori non accompagnati costituiscono una categoria di persone particolarmente vulnerabili.

credit: Alberto Campi

Come sempre, ricordiamo innanzitutto che la richiesta di pronuncia pregiudiziale è uno strumento di cooperazione tra giudici, attraverso il quale gli organi giurisdizionali nazionali – di qualunque grado – possono chiedere alla Corte di Giustizia l’interpretazione del diritto dell’Unione, qualora ciò sia necessario per emanare la loro sentenza. 
La forza delle sentenze dei giudici di Lussemburgo sta nel fatto che tali interpretazioni sono vincolanti non solo per il giudice che le ha richieste, ma per tutti i giudici degli Stati membri che si trovino davanti a casi simili. 

Venendo al caso di cui ci occupiamo oggi, è bene ripercorrere le tappe che hanno portato il giudice britannico a rivolgere questa richiesta di interpretazione del Regolamento Dublino alla Corte.
Il caso originava da tre distinte domande di asilo avanzate nel Regno Unito da altrettanti minori che non avevano familiari legalmente presenti in nessuno Stato membro
In particolare, si trattava di due cittadine eritree e un cittadino iracheno che chiedevano separatamente asilo nel Regno Unito tra luglio 2008 e dicembre 2009, dopo aver già presentato analoga richiesta in un altro Stato membro (l’Italia nel caso delle due cittadine eritree, i Paesi Bassi nel caso dell’iracheno). 
In tutti e tre i casi, le autorità britanniche chiedevano agli altri Stati di riprendere in carico gli interessati e tanto l’Italia quanto i Paesi Bassi accettavano tale richiesta. 
Tuttavia, nel caso di MA e in quello di DA il trasferimento verso lo Stato individuato come competente per l’esame della domanda non avveniva mai, in quanto il Regno Unito decideva di esaminare comunque le loro domande di asilo, mentre BT veniva rinviata in Italia, salvo poi essere riammessa nel Regno Unito, dove la sua domanda di asilo veniva infine esaminata e le veniva riconosciuto lo status di rifugiato. 

I ricorsi dei tre interessati seguivano comunque il loro corso, nonostante la decisione delle autorità britanniche di esaminare le rispettive domande di asilo, e il giudice davanti a cui pendevano tali cause decideva di interromperle e di sottoporre alla Corte di Giustizia la seguente domanda:
Nel contesto del

[Regolamento Dublino] quale sia lo Stato membro al quale il secondo comma dell’articolo 6 attribuisce la competenza a pronunciarsi sulla domanda di asilo quando un richiedente asilo, che sia un minore non accompagnato e sprovvisto di familiari che si trovino legalmente in un altro Stato membro, ha presentato domande di asilo in più di uno Stato membro

La difficoltà interpretativa nasce dalla formulazione ambigua dell’articolo 6 comma 2 del Regolamento Dublino, che recita, con riferimento alla competenza sull’esame delle domande di asilo presentate da minori: “In mancanza di un familiare, è competente per l’esame della domanda lo Stato membro in cui il minore ha presentato la domanda d’asilo“. 

Che significa questa espressione in caso di più domande di asilo presentate dallo stesso minore? Che è competente lo Stato dove la domanda di asilo è stata presentata per la prima volta o per l’ultima? 

La Corte di Giustizia ricorda innanzitutto che, secondo la sua stessa giurisprudenza, ai fini dell’interpretazione di una norma di diritto dell’Unione, “si deve tener conto non solo della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti […]” (par. 50 della sentenza).

Circa il contesto, la Corte nota come, quando il legislatore – all’interno dello stesso Regolamento Dublino – ha voluto indicare che la competenza spetta al “primo Stato membro nel quale la domanda è stata presentata“, lo ha fatto espressamente (come nel caso degli art. 5 e 13). 
Pertanto, l’espressione che compare nell’art. 6 comma 2 (“Stato membro in cui il minore ha presentato la domanda di asilo“) non può essere intesa come il primo Stato membro in cui il minore ha presentato una domanda di asilo, perché, se questa fosse stata la volontà, il legislatore avrebbe potuto utilizzare la stessa espressione usata altrove. (par. 53)

Quanto all’obiettivo perseguito, la Corte fa riferimento alla “particolare attenzione” che deve essere accordata al caso dei minori non accompagnati e afferma che, “poiché i minori non accompagnati costituiscono una categoria di persone particolarmente vulnerabili, la procedura di determinazione dello Stato membro competente non dev’essere prolungata più di quanto strettamente necessario, il che implica che, in linea di principio, essi non siano trasferiti verso un altro Stato membro” (par. 55).


credit: Alberto Campi

Inoltre, la Corte fa riferimento alla Carta dei diritti fondamentali dell’UE, i cui principi e diritti devono essere osservati dagli Stati nell’interpretazione del diritto dell’Unione. E, tra i diritti fondamentali che compaiono nella Carta, l’art. 24 comma 2 prevede la “garanzia che in tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del minore sia considerato preminente” (par. 57).
E’ ovvio che l’art. 6 comma 2 del Regolamento Dublino non può essere interpretato in maniera difforme da tale diritto sancito nella Carta (che è gerarchicamente superiore).
Tale presa in considerazione dell’interesse superiore del minore impone, in linea di principio, che, in circostanze come quelle che caratterizzano la situazione dei ricorrenti in via principale, l’articolo 6, secondo comma, del [Regolamento Dublino] sia interpretato nel senso che designa come competente lo Stato membro nel quale il minore si trova dopo avervi presentato una domanda” (par. 60). Ciò anche per “non prolungare inutilmente la procedura di determinazione dello Stato membro competente, bensì assicurare [ai minori] un rapido accesso alle procedure volte al riconoscimento dello status di rifugiato” (par. 61).


Questa dunque la risposta della Corte di Giustizia UE alla domanda di pronuncia pregiudiziale rivoltale:
L’articolo 6, secondo comma, del [Regolamento Dublino] deve essere interpretato nel senso che, in circostanze come quelle del procedimento principale, nelle quali un minore non accompagnato, sprovvisto di familiari che si trovino legalmente nel territorio di uno Stato membro, ha presentato domanda di asilo in più di uno Stato membro, designa come <Stato membro competente> lo Stato membro nel quale si trova tale minore dopo avervi presentato una domanda di asilo.”


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