L’Associazione per l’Ambasciata della Democrazia Locale (ADL) a Zavidovici Onlus si occupa da diversi anni, tramite fonti di finanziamento differenziate, della gestione di progetti di accoglienza finalizzati all’autonomia dei richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale.
Pur avendo tali progetti durate diverse ed obiettivi diversi a seconda del beneficiario cui è rivolto il progetto individuale, poiché la necessità primaria di ciascun utente consiste nell’acquisizione di un lavoro finalizzata al proprio sostentamento e a quello dei familiari rimasti nel Paese d’origine,fondamentale rimane l’avviamento di ciascun beneficiario alla formazione professionale.
La ricerca del lavoro attraverso una adeguata formazione dovrebbe evitare un approccio di carattere assistenzialistico, cercando di fornire le basi per una ricostruzione e rivalorizzazione delle potenzialità e competenze del singolo. A tale scopo, uno degli strumenti  maggiormente utilizzati negli anni dall’Associazione è stato il tirocinio lavorativo (c.d. “borsa lavoro”), tramite il quale la persona accolta ha avuto l’opportunità di rimettersi in gioco, sperimentando le proprie abilità in un contesto aziendale, usufruendo anche di un rimborso mensile.
Tuttavia, ad eccezione di alcuni casi in cui tale strumento ha portato alla stipula di un contratto di lavoro, sia per quanto riguarda gli utenti accolti all’interno della c.d. “Emergenza Nord Africa”, sia per coloro che hanno usufruito dell’accoglienza SPRAR, diverse sono state, allo scadere del progetto, le fughe verso gli Stati dell’Europa centro-settentrionale alla ricerca di nuove opportunità, con un’evidente predilezione per la Germania, seguita dai Paesi nordici (Danimarca, Svezia e Norvegia).

Questo genere di esperienza spinge a chiedersi, al di là delle motivazioni legate alla situazione di crisi economico-finanziaria in cui versa il nostro Paese, nonché alle difficoltà di integrazione sul territorio, cosa persuada i beneficiari a muoversi alla ricerca di fortuna in altri Paesi dove, il più delle volte, non vi è alcuna garanzia di carattere lavorativo o sociale, se non quella del lavoro “in nero”.
Una volta posto tale interrogativo, si prospettano due ordini di problematiche che devono trovare soluzione al più presto.

Il primo riguarda un’improrogabile verifica e ripensamento del regime di sorveglianza adottato alle frontiere interne dello spazio Schengen. Come esplicitato nella Convenzione applicativa dell’accordo, dovrebbe essere garantito tra i Paesi firmatari uno spazio di libera circolazione e di soppressione dei controlli sulle persone; al contrario, dal mese di settembre 2013, la polizia austriaca, quella svizzera e la gendarmerie francese hanno progressivamente intensificato tali ispezioni. Per tale ragione, per tutti gli stranieri costretti a muoversi da un altro Stato verso l’Italia per adempiere alle pratiche legate al rinnovo del permesso di soggiorno (in primis i titolari di protezione per motivi umanitari che hanno usufruito dell’accoglienza ENA), i rischi di restare bloccati nelle maglie dei controlli transfrontalieri sono tutt’altro che inesistenti. Lasciare il territorio italiano in autobus o in treno è diventata un’ardua impresa anche e a maggior ragione per coloro che, come sta accadendo ai siriani giunti a Lampedusa, Catania o Siracusa, decidono, ben consapevoli delle rigidità del “sistema Dublino”, di sottrarsi alle procedure di identificazione. Dal mese di settembre dal Brennero sono state rispedite in Italia circa duemila potenziali richiedenti asilo (si tratta, nel caso di specie, di una prassi prevista sulla base di un trattato bilaterale del 1996 tra Roma e Vienna, che prevede la «riammissione passiva» del migrante che ha varcato illegalmente la frontiera).
Meritano, inoltre, di essere ulteriormente approfondite le segnalazioni giunte da più parti relative alla prassi adottata dalle autorità di pubblica sicurezza tedesche, le quali, allo scadere dei tre mesi di legale permanenza, parrebbero sequestrare il permesso di soggiorno, non lasciando al titolare altra scelta, una volta riammesso sul territorio italiano sulla base del Regolamento Dublino, che fare denuncia di smarrimento dello stesso, dichiarando il falso.
Lo straniero ha compreso prima di quanto sia stato fatto a livello europeo che, se gli è stato riconosciuto il diritto di fuga e di chiedere asilo, il proprio diritto alla mobilità risulta ancora fortemente limitato.

La seconda criticità che non può essere ignorata e che è diretta conseguenza dell’intensificarsi dei controlli sulle persone alle frontiere, è relativa all’incremento significativo del mercato deipasseurs che, secondo quanto riportato da diversi quotidiani, sta realizzando ingenti guadagni lucrando sulle condizioni di bisogno di intere famiglie. Dal Paese d’origine fino all’auspicato Paese di arrivo, il mercato della tratta che si regge su una fitta rete di supporto, non sempre illegale, riesce a strappare fino a diecimila euro a persone in fuga, senza alcuna garanzia di successo.

Considerate tali premesse, da un lato ci si augura che nei prossimi 18 mesi le modifiche apportate all’impianto normativo europeo (dalla nuova direttiva “accoglienza” 2013/33/UE all’applicazione del regolamento Dublino III) possano condurre ad una maggiore attenzione alle possibilità di integrazione socio-lavorativa dei titolari di protezione internazionale sul territorio  di ciascuno Stato membro (senza, perciò, forzare gli stessi a cercare risposte all’estero). Dall’altro, la Direttiva 2011/51/UE, che come è noto dovrebbe consentire agli stessi, alle medesime condizioni previste per gli altri cittadini stranieri, di stabilirsi per motivi di lavoro in un secondo Stato membro, potrebbe costituire il punto di partenza per un’armonizzazione dei permessi di soggiorno a livello europeo, in grado di svincolare lo straniero dalla macchinosità dell’impianto burocratico di un unico stato e di fornirgli la libertà di ricostruire la propria stabilità economica e sociale altrove.

Inoltre, data la crescente necessità di confronto a livello europeo tra coloro che operano nel settore, rispetto all’effettivo conformarsi degli Stati membri alla nuova normativa in materia, si auspica la creazione di una vera e propria rete europea che possa fungere da organismo di tutela e di controllo della normativa stessa.

Valeria MarengoniAssistente legale Associazione Adl a Zavidovici Onlus

 

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