L’UNHCR ha pubblicato un lungo e interessante studio, di cui si raccomanda la lettura, sull’applicazione della Direttiva Qualifiche a persone in fuga da situazioni di violenza indiscriminata. In particolare, la ricerca si è concentrata sulle domande di protezione internazionale presentate da cittadini afgani, iracheni e somali (che nel 2010 hanno rappresentato circa il 20% del totale delle domande in UE) in sei dei 27 Paesi UE: Belgio, Francia, Germania, Paesi Bassi, Svezia, Regno Unito.
Lo scopo era di verificare come l’interpretazione e applicazione dell’art. 15 c) della Direttiva Qualifiche risponde ai bisogni di protezione delle persone in fuga da situazioni di violenza indiscriminata in questi Paesi.
L’art. 15 c) della Direttiva Qualifiche prevede che è considerato “danno grave”, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria “la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.
L’articolo, il cui pessimo testo fu frutto di un evidente compromesso politico, è già stato interpretato (in maniera altrettanto poco chiara come emerge anche da questo studio) dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea nel famoso “caso Elgafaji”.

La conclusione principale dello studio, basato su analisi della giurisprudenza e interviste con interlocutori privilegiati dei sei Stati analizzati, è che l’applicazione dell’art. 15 c) è fortemente divergente e, in alcuni di questi Stati, tale articolo rappresenta una possibilità di protezione appena marginale, non discostandosi nell’interpretazione prevalente dall’art. 3 CEDU, tuttavia già coperto dalle lettere a) e b) dello stesso art. 15. 
Qual è dunque, si chiede lo studio – rifacendosi anche alla sentenza nel caso Elgafaji -, il valore aggiunto della lett. c)?
Al contrario, secondo l’UNHCR, l’art. 15 c) dovrebbe essere interpretato in maniera ampia, in modo da coprire casi di rischi che potenzialmente riguardano gruppi di persone, così da assicurare che coloro che corrono un rischio reale di subire un danno grave in situazioni di violenza indiscriminata (qualora non siano riconosciuti rifugiati) ricevano comunque protezione internazionale.
Impietosamente, lo studio fornisce anche i dati sul riconoscimento della protezione internazionale in prima istanza negli Stati analizzati. Gli Afgani sono riconosciuti in meno del 10% dei casi nel Regno Unito e nel 62,4% in Belgio. Gli iracheni vanno dal 10,9% nel Regno Unito al 78,5% in Belgio. Ai somali è riconosciuta una protezione internazionale nel 34,3% dei casi nei Paesi Bassi e in quasi il 90% dei casi in Germania.
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