Al rientro dopo una breve pausa natalizia, ci occupiamo oggi di un’importante sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea dello scorso 19 dicembre. 
Si tratta ancora una volta di una domanda di pronuncia pregiudiziale, rivolta alla Corte da un giudice ungherese nel giugno del 2011 (C-364/11) e avente ad oggetto l’interpretazione della Direttiva Qualifiche

In particolare, il giudice del rinvio aveva chiesto alla Corte di Giustizia di interpretare l’art. 12 paragrafo 1, lett. a) della Direttiva, all’interno di una controversia sollevata da tre apolidi di origine palestinese in merito alla loro domanda di riconoscimento dello status di rifugiato in Ungheria.



Come sempre, ricordiamo che il rinvio pregiudiziale consente ai giudici degli Stati membri, nell’ambito di una controversia a loro sottoposta, di interpellare la Corte di Giustizia sull’interpretazione del diritto dell’Unione (o sulla validità di un atto dell’UE). Si tratta dunque di una forma di cooperazione fra giudici
La Corte di Giustizia non risolve la controversia: tale compito spetta al giudice nazionale, che dovrà però naturalmente conformarsi all’interpretazione dei giudici di Lussemburgo.
Molto importante: tale interpretazione vincola anche tutti gli altri giudici cui sia sottoposta una controversia simile.  


Prima di procedere con la descrizione dei fatti alla base della causa di cui ci occupiamo oggi, è opportuno riportare qui il testo dell’art. 12, par. 1, lett. a) della Direttiva Qualifiche:

1. Un cittadino di un paese terzo o un apolide è escluso 
dallo status di rifugiato se: 

a) rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 1D della convenzione di Ginevra, relativo alla protezione o assistenza di un organo o di un’agenzia delle Nazioni Unite diversi dall’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati. Quando siffatta protezione o assistenza cessi per qualsiasi motivo, senza che la posizione di tali persone sia stata definitivamente stabilita in conformità delle pertinenti risoluzioni adottate dall’assemblea generale delle Nazioni Unite, queste persone sono ipso facto ammesse ai benefici della presente direttiva”


Siamo in presenza dunque di una clausola di esclusione, che fa riferimento all’art. 1 (D) della Convenzione di Ginevra, che recita:

La presente Convenzione non è applicabile alle persone che fruiscono  attualmente della protezione o dell’assistenza di un’organizzazione o di un’istituzione delle Nazioni Unite che non sia l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati. 
Se tale protezione o tale assistenza cessa per un motivo qualsiasi senza che la sorte di queste persone sia stata definitivamente regolata conformemente alle risoluzioni prese in merito dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, esse fruiscono di tutti i diritti derivanti dalla presente Convenzione.



Vediamo dunque i fatti principali alla base della controversia.


I tre ricorrenti (Abdel El Karem El Kott, A Radi e Kamel Ismail) vivevano all’interno di campi profughi nell’area di operazioni dell’UNRWA (United Nations Relief and Works Agency), che è, appunto, l’Agenzia delle Nazioni Unite che ha il mandato di fornire assistenza e protezione ai rifugiati palestinesi in Giordania, Libano, Siria e nei Territori occupati
A seguito di minacce e atti intimidatori, i tre – separatamente – decidevano di allontanarsi dalla regione e di chiedere asilo in Ungheria. 


In tutti e tre i casi, le autorità ungheresi rifiutavano il riconoscimento dello status di rifugiato. Ai primi due ricorrenti veniva comunque concesso il permesso di rimanere in Ungheria sulla base del divieto di respingimento, mentre al terzo veniva accordata la protezione sussidiaria.
La decisione delle autorità ungheresi si basava sul fatto che, benché effettivamente i tre non beneficiassero più dell’assistenza dell’UNRWA, essi nemmeno soddisfacevano le condizioni richieste per essere considerati rifugiati ai sensi della Direttiva Qualifiche
I tre proponevano ricorso contestando il rifiuto dello status di rifugiato e rilevando che, cessata l’assistenza dell’UNRWA nei loro confronti, essi avrebbero automaticamente diritto al riconoscimento dello status di rifugiato.

Il Tribunale di Budapest davanti al quale pendevano le cause decideva di riunirle e di sottoporre alla Corte le domande pregiudiziali che seguono:

“Ai fini dell’applicazione dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a),

[della direttiva 2004/83/CE]:
1) Se il fatto di essere ammesso ai benefici della direttiva comporti il riconoscimento dello status di rifugiato o di una qualsiasi delle due forme di protezione incluse nell’ambito di applicazione della direttiva (lo status di rifugiato e il riconoscimento della protezione sussidiaria) in funzione della scelta effettuata dallo Stato membro, oppure non implichi automaticamente alcuna di dette forme ma solo l’appartenenza all’ambito di applicazione ratione personae della direttiva.
2) Se la cessazione della protezione o dell’assistenza di un’agenzia implichi il soggiorno al di fuori della sua area di operazioni, la cessazione dell’attività dell’agenzia, il fatto che quest’ultima non possa più offrire la protezione o l’assistenza o, eventualmente, un impedimento involontario causato da motivi legittimi e oggettivi tale che la persona avente diritto alla protezione o all’assistenza non possa ricorrervi


Detta in parole più semplici, il giudice del rinvio chiede: 
1) ai fini dell’applicazione della clausola di esclusione di cui all’art. 12 par. 1, lett. a), quando si abbia una cessazione della protezione o dell’assistenza di un’Agenzia diversa dall’UNHCR. (seconda questione)
2) se una persona nei cui confronti sia cessata tale protezione o assistenza sia per ciò solo (ipso facto) da riconoscere come rifugiato ovvero se ciò implichi semplicemente che tale persona rientra nell’ambito di applicazione della Direttiva. (prima questione)




La Corte si era già occupata di un caso simile alcuni anni fa (caso Bolbol, C-31/09, sentenza del 17 giugno 2010), stabilendo che, ai fini dell’applicazione della clausola di esclusione di cui sopra, è necessario che una persona sia effettivamente ricorsa alla protezione dell’UNRWA prima di allontanarsi dall’area di operazioni di quest’ultima
Non essendo quello il caso (la persona si era allontanata senza ricorrere all’assistenza dell’UNRWA), i giudici di Lussemburgo non erano andati oltre, lasciando in sospeso altre questioni che invece vengono risolte con la sentenza di cui ci occupiamo oggi. 



Il ragionamento della Corte, per rispondere alla seconda domanda (esaminata in realtà per prima dai giudici) è il seguente, esposto per brevi punti:

  • la mera assenza o partenza volontaria dall’area di operazioni dell’UNRWA non è sufficiente per non applicare la clausola di esclusione; se così fosse, tale clausola non avrebbe alcun effetto utile, in quanto non sarebbe applicabile a nessuna persona che chieda asilo nell’UE (e che sia pertanto fisicamente assente dall’area di operazione dell’UNRWA) (par. 49, 50 della sentenza);
  • tuttavia, per cessazione della protezione dell’UNRWA non si deve intendere solo la soppressione di tale agenzia, dovendo includersi nell’espressione “per qualsiasi motivo” di cui all’art. 12, par. 1, lett. a) anche circostanze che, essendo indipendenti dalla volontà dell’interessato, lo obblighino a lasciare l’area delle operazioni dell’UNRWA (par. 58);
  • pertanto, se da un lato è “indiscutibile che una mera assenza da tale area o la volontaria decisione di lasciarla non può essere qualificata come cessazione dell’assistenza”, dall’altro “qualora tale decisione sia motivata da obblighi indipendenti dalla volontà della persona interessata, una tale situazione può indurre a constatare che l’assistenza di cui tale persona beneficiava è cessata” (par. 59);
  • spetta alle autorità nazionali stabilire se la partenza della persona interessata è giustificata da motivi indipendenti dalla sua volontà o meno. La Corte fornisce tuttavia alcuni suggerimenti per tale valutazione e, in particolare, afferma che “un rifugiato palestinese deve essere considerato obbligato a lasciare l’area di operazioni dell’UNRWA ove si trovi in uno stato personale di grave insicurezza e tale organismo versi nell’impossibilità di assicurargli, in tale area, condizioni di vita conformi alla missione a quest’ultimo affidata“. Tale valutazione deve prevedere ovviamente un esame su base individuale di tutti gli elementi pertinenti. (par. da 61 a 64)


Una volta accertata la cessazione dell’assistenza dell’UNRWA, restano da verificare le conseguenze e, in particolare, come richiesto nella prima domanda del giudice ungherese (esaminata per seconda dalla Corte), se la persona interessata sia per ciò solo da considerare come rifugiato ovvero se rientri semplicemente nell’ambito di applicazione rationae personae della Direttiva Qualifiche.

Secondo la Corte:

  • tali conseguenze non possono limitarsi alla mera possibilità di chiedere l’ammissione allo status di rifugiato in quanto tale possibilità è già offerta a tutti i cittadini di Paesi terzi o apolidi che si trovino sul territorio di uno degli Stati membri; la frase “queste persone sono ipso facto ammesse ai benefici della presente Direttiva” di cui all’art. 12, par. 1, lett. a), non avrebbe pertanto alcun effetto utile (par. 73);
  • tale frase significa dunque che le persone che si trovano in queste circostanze non sono tenute a dimostrare il timore di persecuzione necessario ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato; (par. 76)
  • non si tratta però di un diritto incondizionato di vedersi attribuito lo status di rifugiato: nel contesto dell’esame della domanda di asilo, le autorità nazionali devono verificare i) che il richiedente si sia avvalso della protezione dell’UNRWA; ii) che tale assistenza sia cessata e iii) che a tale richiedente non sia applicabile alcuna delle clausole di esclusione indicate dallo stesso art. 12 ai paragrafi 1 lett. b), 2 e 3. (par. 76).




Queste dunque le risposte della Corte di Giustizia alle domande poste dal giudice ungherese:

1) L’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), secondo periodo, della [Direttiva Qualifiche] deve essere interpretato nel senso che la cessazione della protezione o dell’assistenza da parte di un organo o di un’agenzia delle Nazioni Unite diversi dall’ [UNHCR] «per qualsiasi motivo» riguarda altresì la situazione di una persona che, dopo essere ricorsa effettivamente a tale protezione o assistenza, non vi è più ammessa per un motivo che esula dalla sua sfera di controllo e prescinde dalla sua volontà. Spetta alle autorità nazionali competenti dello Stato membro responsabile dell’esame della domanda di asilo presentata da un tale soggetto accertare, con una valutazione su base individuale della domanda, che quest’ultimo è stato obbligato a lasciare l’area di operazioni di detto organo o agenzia, il che si verifica qualora si sia trovato in uno stato personale di grave insicurezza e l’organo o l’agenzia di cui trattasi non sia stato in grado di garantirgli, in detta area, condizioni di vita conformi ai compiti spettanti a tale organo o agenzia.
2) L’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), secondo periodo, della [Direttiva Qualifiche] deve essere interpretato nel senso che, ove le autorità competenti dello Stato membro responsabile dell’esame della domanda di asilo abbiano accertato che, per quanto riguarda il richiedente, ricorre il presupposto relativo alla cessazione della protezione o dell’assistenza dell’ [UNRWA], il fatto di essere ipso facto «ammesso ai benefici [di tale] direttiva» implica il riconoscimento, da parte di detto Stato membro, della qualifica di rifugiato ai sensi dell’articolo 2, lettera c), di detta direttiva e la concessione automatica dello status di rifugiato al richiedente, sempre che tuttavia a quest’ultimo non siano applicabili i paragrafi 1, lettera b), o 2 e 3 di tale articolo 12.


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