Il 30 maggio 2013 la Corte di Giustizia dell’UE (Quarta sezione) ha emesso la  sentenza nella causa Halaf (C-528/11), avente ad oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale sull’interpretazione dell’art. 3 comma 2 del Regolamento Dublino
Ci eravamo già occupati di questa causa (V. nostro precedente post qui), in quanto l’UNHCR era intervenuto presentando una sua dichiarazione di cui avevamo in parte dato conto. 
Il caso ci era sembrato subito molto interessante in quanto, tra le varie domande sottoposte alla Corte, il giudice del rinvio (bulgaro) aveva chiesto ai giudici di Lussemburgo di chiarire quale fosse il contenuto del diritto di asilo ai sensi dell’articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE.

Andiamo dunque a vedere le risposte della Corte. 

Le bellissime foto che accompagnano il post di oggi sono una gentile concessione di Alberto Campi

Il caso trae origine da una controversia riguardante un cittadino iracheno (Halaf) e l’Agenzia Nazionale per i rifugiati bulgara, in merito alla decisione di quest’ultima di autorizzare il trasferimento del ricorrente verso la Grecia, ai sensi del Regolamento Dublino
Il sig. Halaf, infatti, prima di chiedere protezione in Bulgaria, aveva già depositato domanda di asilo in Grecia, come emergeva dalla ricerca effettuata dalle autorità bulgare nella banca dati Eurodac. Conseguentemente, la Bulgaria chiedeva alla Grecia di riprendere in carico il richiedente, ai sensi dell’art.16 co. 1 lett. c) del Regolamento Dublino
Si noti che ciò avveniva nel 2010, dunque prima della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso MSS contro Belgio e Grecia (del 21 gennaio 2011) che sostanzialmente bloccava i trasferimenti-Dublino verso la Grecia

Non essendo pervenuta risposta dalla Grecia entro il termine fissato dal Regolamento Dublino, veniva disposto il trasferimento del ricorrente, il quale tuttavia presentava ricorso contro questa decisione, facendo in particolare riferimento all’appello lanciato dall’UNHCR ai governi europei affinché cessassero i trasferimenti verso la Grecia.  Il giudice bulgaro competente a decidere sul ricorso interrompeva il procedimento e rivolgeva alla Corte sei questioni pregiudiziali, poi ridotte a quattro a seguito della sentenza della Corte di Giustizia UE nel caso NS e altri del 21 dicembre 2011 (anche questa la trovate analizzata in un nostro precedente post, qui) che ne assorbiva due. 


1) La prima domanda

Con la prima domanda, il giudice del rinvio chiedeva alla Corte, in sostanza, se l’art. 3, comma 2 del Regolamento Dublino dovesse essere interpretato nel senso che uno Stato membro, che non è quello individuato come Stato competente in base ai criteri del Regolamento, può comunque esaminare una domanda di asilo anche in assenza delle circostanze che rendono applicabile la c.d. “clausola umanitaria”, di cui all’art. 15 del Regolamento, dato che l’altro Stato – quello individuato come competente – non ha risposto alla richiesta di ripresa in carico.

La risposta della Corte non lascia dubbi: “
[d]allo stesso tenore letterale dell’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento emerge […] chiaramente che l’esercizio di tale facoltà non è soggetto a condizioni particolari”. (par. 36 della sentenza). Tale disposizione, infatti – come emerge anche dai lavori preparatori del Regolamento Dublino – è stata inserita per “consentire a ciascuno Stato membro di decidere in piena sovranità, in base a considerazioni di tipo politico, umanitario o pragmatico, di accettare l’esame di una domanda di asilo, anche se detto Stato non sarebbe competente” (par. 37). Pertanto, uno Stato può decidere (applicando la c.d. “clausola di sovranità” di cui all’art. 3 co. 2) di esaminare una domanda di asilo sulla quale non sarebbe competente, a prescindere dall’esistenza o meno di circostanze che rendano applicabile la c.d. “clausola umanitaria” (di cui all’art. 15).

La questione se lo Stato competente abbia risposto o meno alla richiesta, poi, non incide. (par. 38)


2) La seconda domanda
Era certamente la domanda più interessante tra quelle proposte dal giudice del rinvio: “Quale sia il contenuto del diritto di asilo ai sensi dell’art. 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea” […]”. 

Art. 18 che, lo ricordiamo, recita:
Diritto di asilo
Il diritto di asilo è garantito nel rispetto delle norme stabilite dalla convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e dal protocollo del 31 gennaio 1967, relativi allo status dei rifugiati, e a norma del trattato che istituisce la Comunità europea.

A questo avevamo dedicato un post in cui analizzavamo l’autorevole presa di posizione dell’UNHCR in merito e davamo appuntamento alla sentenza.
Purtroppo, la Corte non ha ritenuto di dover rispondere a questa domanda del giudice del rinvio, in quanto collegata ad un’eventualità già esclusa dalla risposta al primo quesito. (par. 42)


3) La terza domanda

Con la terza domanda il giudice del rinvio chiede alla Corte se vi sia un obbligo, per lo Stato in cui si trova il richiedente asilo, di chiedere un parere all’UNHCR nel corso del procedimento per l’individuazione dello Stato competente, qualora nei documenti UNHCR siano indicati fatti e conclusioni che indichino che lo Stato competente stia violando la normativa europea in materia di asilo.

La Corte, innanzitutto, ricorda come “i documenti emessi dall’UNHCR fanno parte degli strumenti atti a consentire agli Stati membri di valutare il funzionamento del sistema di asilo nello Stato membro individuato come Stato competente”, ed anzi “detti documenti godono di una pertinenza particolare per quanto concerne il ruolo attribuito all’UNHCR dalla Convenzione di Ginevra” (par. 44)

Tuttavia, aggiunge la Corte, nel testo del Regolamento Dublino non è prevista alcuna forma di cooperazione tra UNHCR e Stati membri, come invece è il caso ad es. nella Direttiva Procedure. (par. 45)
Pertanto, benché ovviamente nulla impedisca a uno Stato di chiedere il parere dell’UNHCR qualora lo ritenga opportuno, ciò non significa che vi sia tenuto.


4) La quarta domanda

Con questa domanda il giudice del rinvio chiedeva in sostanza quali fossero le conseguenze in caso di mancato rispetto dell’eventuale (ma, come abbiamo visto, negato dalla Corte) obbligo di consultare l’UNHCR. Anche in questo caso, dunque, l’interesse a rispondere è venuto meno, a seguito della risposta al terzo quesito. 


Queste dunque le risposte fornite dalla Corte di Giustizia UE nella causa Halaf (C-528/11):

1) L’articolo 3, paragrafo 2, del Regolamento [Dublino] dev’essere interpretato nel senso che consente a uno Stato membro, che non è quello individuato come Stato competente in base ai criteri enunciati al capo III di tale regolamento, di esaminare una domanda d’asilo anche in assenza delle circostanze che rendono applicabile la clausola umanitaria di cui all’articolo 15 di detto regolamento. Tale possibilità non dipende dal fatto che lo Stato membro competente in forza di detti criteri non abbia risposto a una domanda di ripresa in carico del richiedente asilo di cui trattasi.
2)Lo Stato membro in cui si trova il richiedente asilo non è tenuto, nel corso del procedimento di determinazione dello Stato membro competente, a chiedere il parere dell’Alto Commissario delle Nazioni unite per i rifugiati qualora dagli atti di tale Ufficio emerga che lo Stato membro individuato come Stato competente in base ai criteri enunciati al capo III del regolamento [Dublino] viola le norme di diritto dell’Unione in materia di asilo.”