Il post di oggi è la rielaborazione di un intervento che la nostra associazione ha fatto lo scorso 23 ottobre 2014 all’interno del Laboratorio multidisciplinare sul Diritto di Asilo organizzato dal Coordinamento Non Solo Asilo presso l’Università di Torino.  L’edizione 2014/2015 del laboratorio ha voluto approfondire il tema delle “Relazioni, legami e affettività: cosa (e come) si mantiene, si cambia e si costruisce nel contesto di arrivo”. La nostra associazione è stata invitata a partecipare con un contributo sulle pratiche di ricongiungimento familiare in Europa.
In quell’occasione, sono state messe a confronto le leggi e le prassi nazionali che regolano il diritto al ricongiungimento familiare dei titolari di protezione internazionale in sette paesi dell’Unione Europea: Svezia, Francia, Spagna, Belgio, Olanda, Malta e Regno Unito.

Nelle righe che seguono si può trovare una breve comparazione delle informazioni raccolte per preparare l’intervento al Laboratorio di Torino. Sul sito di Asilo in Europa è possibile invece scaricare le schede sul ricongiungimento familiare per i titolari di protezione internazionale suddivise per Paese con analisi e link utili per chi volesse approfondire.

Come al solito, buona lettura!




La Direttiva 2003/86/CE – ambito di applicazione

La Direttiva 2003/86/CE del Consiglio del 22 settembre 2003 stabilisce le condizioni alle quali può essere esercitato il diritto al ricongiungimento familiare per i cittadini dei Paesi terzi che risiedono legalmente nell’UE. Per essere più precisi, dovremmo anzi dire nei Paesi vincolati dalla direttiva, in quanto il Regno Unito, l’Irlanda e la Danimarca non sono soggetti alla sua applicazione.
La direttiva ha operato un’armonizzazione piuttosto limitata delle legislazioni nazionali in materia ed è stata criticata da ONG e mondo accademico poiché il suo testo lascia agli Stati Membri un eccessivo margine di manovra (Relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento dell’8 ottobre 2008 e introduzione al Libro Verde sul diritto al ricongiungimento familiare).

Per quanto più ci riguarda da vicino, la direttiva esclude dal suo ambito di applicazione i richiedenti asilo e i beneficiari di forme temporanee e sussidiarie di protezione (art.3 comma 2 lett. a/b/c), lasciando tuttavia gli Stati membri liberi di applicare condizioni più favorevoli. A questo proposito, va detto che nella quasi totalità dei Paesi qui osservati il diritto al ricongiungimento familiare è riconosciuto anche ai titolari di protezione sussidiaria. Malta rappresenta l’unica eccezione: lì i titolari di protezione sussidiaria – che rappresentano peraltro la stragrande maggioranza dei titolari di protezione in quel Paese – sono esclusi dal godimento del diritto al ricongiungimento familiare.
Inoltre, gli ordinamenti nazionali che prevedono forme temporanee di protezione, come Svezia e Paesi Bassi, assicurano anche ai titolari di queste ultime l’accesso al ricongiungimento familiare.
Quanto ai richiedenti asilo, invece, nessun Paese analizzato riconosce loro il diritto a ricongiungersi con i propri familiari. Tuttavia, in Spagna e Regno Unito è garantito una sorta di diritto al mantenimento dell’unità familiare di quei richiedenti asilo, i cui familiari si trovino anche essi sul territorio dello Stato membro e non abbiano o non vogliano avanzare domanda individuale di asilo.
Una situazione a parte, infine, è rappresentata dalla Spagna dove, nonostante la legge riconosca a tutti i titolari di protezione internazionale il diritto al ricongiungimento familiare, i nuclei che possiedono nazionalità diverse ne sono di fatto esclusi. Il regolamento attuativo che dovrebbe definirne requisiti e modalità infatti non è mai stato emanato, con conseguente inapplicabilità della norma.

La Direttiva 2003/86/CE – le condizioni per esercitare il diritto

La direttiva sottolinea come la situazione dei rifugiati richieda un’attenzione particolare, in virtù delle ragioni che hanno costretto queste persone a fuggire e a non poter più fare ritorno nel proprio Paese di origine. In considerazione di ciò, sono previste condizioni più favorevoli per l’esercizio del loro diritto al ricongiungimento familiare; l’art.12 comma 1 dispone infatti che gli Stati membri non chiedono al rifugiato di soddisfare le medesime condizioni di reddito, alloggio, assicurazione sanitaria  previste per la generalità dei cittadini di Paesi terzi (ma solo se la domanda è presentata entro tre mesi dal riconoscimento dello status di rifugiato; in caso contrario, potrebbero chiederlo).

Inoltre, al contrario di quanto previsto per gli altri immigrati, gli Stati non possono esigere dai rifugiati di aver soggiornato sul loro territorio per un certo periodo di tempo (fissato nel massimo a due anni) prima di procedere al ricongiungimento.
Quanto alle misure di integrazione (ad es., il superamento di un test di lingua da parte del familiare che si vuole fare entrare) che gli Stati possono chiedere ai cittadini di Paesi terzi, la direttiva prevede che, nei confronti dei rifugiati, ciò sia possibile solo “dopo che alle persone interessate sia stato accordato il ricongiungimento familiare” (art. 7 § 2).

Almeno tre Paesi sui sette analizzati hanno esercitato una di queste possibilità di deroga alle disposizioni più favorevoli, anche se in maniera difforme. Osserviamo dunque il caso belga, dove i requisiti di alloggio, reddito ed assicurazione sanitaria non vengono richiesti ai titolari di protezione internazionale solo se la domanda di ricongiungimento è presentata entro 12 mesi dal riconoscimento della protezione. L’Olanda applica invece il termine di tre mesi, mentre Malta non ha adottato alcuna condizione più favorevole per i rifugiati, non operando di fatto alcuna distinzione tra questi ed i restanti cittadini di paesi terzi.


Con quali familiari è possibile ricongiungersi?


La normativa europea sposa una nozione nucleare e strettamente biologica di famiglia, costituita dall’unione socialmente riconosciuta di due persone e dalla loro prole.
Nei confronti dei rifugiati, la direttiva prevede alcune disposizioni di vantaggio se il rifugiato è un minore non accompagnato nonché la possibilità (non l’obbligo) per gli Stati di autorizzare l’ingresso anche di altri familiari, oltre a quelli con cui è possibile ricongiungersi per tutti gli altri cittadini di Paesi terzi, ma solo se sono “a carico del rifugiato“. (art. 10 § 2)

Tutti gli Stati membri analizzati riconoscono il ricongiungimento con il coniuge. Tuttavia, la direttiva ammette restrizioni legate a) al divieto di poligamia e b) al possesso di un’età minima fissata a 21 anni per entrambi i coniugi. La prima limitazione è riscontrabile ovunque, mentre la seconda esiste a Malta, in Belgio e nei Paesi Bassi. Se l’età minima per il ricongiungimento del coniuge, da un lato, è stata posta con l’obiettivo di contrastare il fenomeno dei matrimoni forzati e favorire l’integrazione nel paese di accoglienza, dall’altro accade spesso che tale requisito rappresenti l’unico ostacolo al ricongiungimento familiare quando invece tutti gli altri elementi individuali lo imporrebbero.

La direttiva lascia poi la possibilità agli Stati membri di prevedere il diritto al ricongiungimento anche con il c.d. ‘partner abituale’. Nei Paesi osservati, eccetto Malta, il legame di fatto o abituale viene riconosciuto, ma le disposizioni applicate variano a seconda della concezione diffusa nel Paese. In Belgio e Francia, per esempio, si fa riferimento esclusivamente alle unioni ufficialmente registrate, mentre in Spagna, Paesi Bassi e Regno Unito, si prendono in considerazione anche le relazioni che, per durata e stabilità, sono assimilabili al matrimonio; in Svezia, infine, si prevede l’ingresso del partner anche solo con la finalità di stabilizzare la relazione.

Il ricongiungimento familiare con i figli minori del soggiornante e del coniuge è concesso in tutti i Paesi analizzati. In caso di figli adottivi, a Malta e in Spagna l’adozione avvenuta all’estero deve rispettare i requisiti della legislazione nazionale in materia.

Le disposizioni della Direttiva sul ricongiungimento dei figli maggiorenni sono opzionali e limitate ai figli adulti che non siano coniugati e che dipendano dal richiedente per motivi di salute. Dal momento che è lasciata agli Stati Membri la facoltà di adottare regole più favorevoli, le legislazioni variano. In Belgio, Paesi Bassi e Spagna, sono stati ripresi i requisiti della direttiva legati allo stato di salute.  Diversamente, in Svezia viene richiesto che il richiedente sia in grado di sostenere il figlio senza gravare sul welfare nazionale o che il legame di dipendenza sia precedente alla partenza dal paese di origine, senza che siano richiesti requisiti relativi allo stato di salute del figlio adulto. Regno Unito, Francia e Malta, invece, non ammettono il ricongiungimento con i figli maggiorenni, indipendentemente dalle loro condizioni di salute.

Un capitolo a parte è rappresentato dai figli minori del solo soggiornante (o del solo coniuge). La normativa europea prevede di limitare il loro ingresso ai casi in cui il soggiornante  (o il coniuge) sia il titolare del loro affidamento e responsabile del loro mantenimento, a meno che non vi sia il consenso esplicito dell’altro coniuge. Nella prassi, la Svezia consente il ricongiungimento del minore senza porre particolari condizioni, mentre Francia, Belgio, Paesi Bassi, Spagna e Malta  seguono alla lettera le condizioni dettata dalla direttiva. Il Regno Unito, dal canto suo, non  prevede nemmeno questa possibilità.

E gli altri familiari?
Come detto, l’art.10 §2 della direttiva prevede un’ulteriore disposizione favorevole per i rifugiati, cioè la possibilità per gli Stati membri di autorizzare anche il ricongiungimento di altri familiari qualora siano “a carico del rifugiato”.
Dei Paesi analizzati, Malta, Francia e Regno Unito (che, ricordiamo ancora una volta, non è vincolato dalla direttiva in questione) non prevedono una simile possibilità. Al contrario, Paesi Bassi e Spagna lo consentono per i genitori ultra-65enni e a carico; la Svezia invece consente il ricongiungimento per i genitori senza limiti di età, ma solo in caso esista un rapporto di dipendenza fin dal Paese di origine.
In Belgio infine, se un familiare non ricade nelle categorie di coloro che possono ottenere il permesso per ricongiungimento, è autorizzato a richiedere un visto di ingresso per motivi umanitari. Tuttavia non trattandosi di un diritto riconosciuto quanto di una concessione, questo genere di visti vengono rilasciati eccezionalmente e a totale discrezione dell’Ufficio per l’Immigrazione belga.


Conclusioni – Le principali criticità

Pur prevedendo alcune disposizioni di favore, quanto alle condizioni da soddisfare per poter accedere al ricongiungimento, la normativa europea in materia si basa su un’idea di famiglia che non considera appieno la realtà delle persone bisognose di protezione internazionale. Nelle zone di conflitto o di profonda crisi da cui provengono i richiedenti asilo non è infatti inusuale per le famiglie essere composte anche da bambini, che pur non essendo stati formalmente adottati, non hanno più i genitori perchè morti o dispersi a causa dei conflitti. Non sono peraltro rare famiglie formatesi durante la fuga, poiché chi fugge può aver risieduto diversi anni in Paesi di transito o in campi profughi prima di raggiungere l’Europa.

Per quanto concerne la prova del legame familiare la direttiva sottolinea come, nei confronti dei rifugiati, “il rigetto della domanda non può essere motivato unicamente dall’assenza di documenti probatori” (art.11 § 2) ma, nella pratica, la maggior parte degli Stati membri considera indispensabili i documenti ufficiali.
Non semplice è poi l’accesso concreto alla procedura di ricongiungimento: nella maggior parte dei Paesi membri analizzati, la domanda di ricongiungimento deve essere presentata dal familiare presso l’ambasciata dello Stato membro nel Paese di origine o residenza. Questo può rappresentare un problema, se si devono affrontare ulteriori costi di viaggio e di soggiorno per raggiungere l’ambasciata e in taluni casi è anche molto rischioso, vista la delicata condizione dei familiari, spesso anch’essi in pericolo.
Notevole inoltre la lentezza della procedura: nonostante la direttiva stabilisca il limite di nove mesi entro cui uno Stato membro deve pronunciarsi sulla richiesta di ricongiungimento familiare (con possibilità di estendere tale limite solo “in circostanze eccezionali, dovute alla complessità della domanda da esaminare“, art. 5 § 4), nella maggior parte dei Paesi osservati i tempi di attesa sono in media di molto superiori ai nove mesi e variano dai 18 ai 24 mesi. Per non parlare della procedura di ricorso contro il rifiuto del rilascio del visto da parte dell’autorità consolare, che può proseguire per anni.
Infine, stiamo parlando di un procedimento generalmente costoso: le procedure di ricongiungimento familiare sono spesso caratterizzate da costi molto elevati per qualsiasi familiare con cui ci si voglia ricongiungere. Si possono elencare: costi legati alla traduzione e legalizzazione dei documenti, eventuali “test del DNA”, costi dei visti e delle tasse consolari, costi legati alla permanenza in un paese terzo sul quale si trova l’ambasciata e costi di viaggio. Queste spese, che spesso si aggirano sulle migliaia di euro, rappresentano un ulteriore ostacolo per i titolari di protezione internazionale, spesso impossibilitati a sostenerle. Solo in Svezia è prevista una copertura parziale o totale dei costi.

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