Il 24 ottobre la prima sezione della Corte europea dei diritti dell’uomo ha emesso una sentenza interessante ai nostri fini. Stiamo parlando del caso Housein c. Grecia, relativo al trattenimento di un minorenne afgano ai fini della sua espulsione.


La Corte era, in particolare, chiamata a decidere sulla richiesta di condanna della Grecia per violazione dell’art. 3, dell’art. 5 par. 1 e 4 e dell’art. 9 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo



Il ricorrente era stato fermato il 30 maggio 2011 dopo l’ingresso irregolare in Grecia ed era stato trattenuto nel centro di Filakio, in vista della sua espulsione. Il ricorrente aveva lamentato le condizioni molto dure del trattenimento. Egli, oltretutto, era minorenne non accompagnato all’epoca dei fatti ma la sua detenzione avveniva in un centro per adulti. Il tribunale amministrativo cui egli si rivolgeva per far valere la propria condizione di minore rigettava le sue obiezioni. Solo il 12 luglio 2011 veniva disposto il trasferimento del ricorrente in un centro per minori. 

La Corte europea dichiara irricevibile la richiesta di condanna per violazione dell’art. 3 per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, irricevibile altresì la richiesta di condanna per violazione dell’art. 9 in quanto manifestamente infondata, mentre condanna la Grecia per violazione dell’art. 5 par. 1 e 4.

Vediamo come i giudici di Strasburgo arrivano a questa conclusione.

Ricordiamo innanzitutto che l’art. 5 comma 1 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo prevede che:




“1. Ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza. Nessuno può essere privato della libertà, se non nei casi seguenti e nei modi previsti dalla legge:”


Tra questi casi in cui è consentito privare una persona della libertà, la lett. f) dello stesso art. 5 comma 1 prevede:

“(f) se si tratta dell’arresto o della detenzione regolari di  una persona per impedirle di entrare illegalmente nel  territorio, oppure di una persona contro la quale è in corso un procedimento d’espulsione o d’estradizione.”




Si tratta di un principio fondamentale, relativamente al quale la Corte ha più volte ripetuto che qualsiasi privazione della libertà deve non solo essere compresa tra le eccezioni di cui al comma 1 dell’art. 5 ma anche essere legittima, dunque prevista da una norma di legge. Non solo: essa deve altresì essere conforme alla Convenzione, ben potendo esistere casi in cui una privazione della libertà sia legittima secondo il diritto interno di un Paese, ma arbitraria e dunque contraria alla Convenzione. 


Il comma 4 dello stesso articolo 5 dispone invece che:

“4. Ogni persona privata della libertà mediante arresto o detenzione ha il diritto di presentare un ricorso a un tribunale, affinché decida entro breve termine sulla legittimità della sua detenzione e ne ordini la scarcerazione se la detenzione è  illegittima.”


Tale controllo giurisdizionale, pur non garantendo il diritto ad una piena rivalutazione della situazione nel merito, deve per lo meno garantire che tutte le condizioni indispensabili alla legittimità del trattenimento siano rispettate


Foto: gentile concessione di Alberto Campi scattata a Trieste, per informazioni visitate il suo blog




























Quanto al caso di specie, la Corte (par. 75 della sentenza) nota che il ricorrente – minore non accompagnato all’epoca dei fatti – veniva trattenuto al fine di procedere alla sua espulsione
Tuttavia, appare evidente alla Corte (par. 76) che la decisione di trattenere il ricorrente sia stata presa in maniera automatica, senza tenere in considerazione la sua particolare situazione di minore non accompagnato, nonostante la legge greca preveda che i minori debbano essere detenuti in luoghi separati dagli adulti.
Ne deriva quindi che il trattenimento del ricorrente non può considerarsi legittimo e dunque vi è stata una violazione dell’art. 5 comma 1 della Convenzione.


Circa l’art. 5 comma 4, la Corte nota che il tribunale amministrativo a cui il ricorrente si era rivolto per far valere la sua situazione di minore non accompagnato trattenuto in un centro per adulti ha ritenuto irricevibile il ricorso in quanto il ricorrente, tramite il suo avvocato, avrebbe potuto rivolgersi alle autorità competenti per chiedere di essere spostato in un centro idoneo (par. 11 e 83). 
Tale (diabolico) ragionamento non può essere giustificato dalla Corte che, pertanto, conclude che vi è stata anche una violazione dell’art. 5 comma 4 della Convenzione


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