Lo scorso 16 febbraio la Corte di Giustizia dell’Unione europea – quinta sezione – ha emesso una sentenza particolarmente importante ai nostri fini. Si tratta di una decisione su una questione pregiudiziale sollevata dalla Corte suprema slovena e avente ad oggettol’interpretazione di alcune disposizioni del Regolamento Dublino 3, in materia di trasferimenti di persone gravemente malate anche in assenza di carenze sistemiche nel sistema di asilo dello Stato di destinazione.
Il caso è particolarmente importante perché nel dicembre 2011 – in una famosa sentenza, NS e altri, da noi commentata qui – la Corte aveva affermato la incompatibilità con il diritto dell’Unione di una presunzione assoluta che lo Stato membro individuato come competente dall’applicazione dei criteri del Regolamento Dublino rispetti i diritti fondamentali. Tale presunzione – avevano affermato i giudici di Lussemburgo – deve essere relativa, cioè ammettere sempre prova contraria. Tuttavia, la Corte aveva limitato il divieto di procedere a un “trasferimento-Dublino” ai soli casi in cui le carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza nello Stato di destinazione costituiscono motivi seri e comprovati di credere che il richiedente corra un rischio reale di subire trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’art. 4 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea. Questa interpretazione viene, in sostanza, superatacon la decisione di cui ci occupiamo oggi. Vediamo in estrema sintesi come.

I fatti alla base della controversia
La signora C.K., siriana, e il signor H.F., egiziano, entravano nel territorio dell’Unione europea nell’agosto 2015 grazie a un visto concesso dalla Croazia e poi si spostavano in Slovenia con dei documenti falsi. Lì presentavano domanda di protezione internazionale. Nel frattempo la signora rimaneva incinta. La Slovenia chiedeva alla Croazia di assumersi la responsabilità dell’esame della domanda e quest’ultima accettava. Tuttavia, non si procedeva subito al trasferimento a causa dello stato avanzato della gravidanza della richiedente. Alcuni mesi dopo la nascita del bambino, la Slovenia emetteva una decisione di trasferimento della famiglia verso la Croazia. La famiglia decideva di proporre ricorso, facendo valere – con alcuni certificati medici – i problemi di ordine psichiatrico di cui la signora soffriva. Cominciava allora un lungo iter giudiziario che arrivava fino alla Corte suprema, la quale decideva infine di rivolgersi alla Corte di Giustizia dell’UE ponendo varie domande pregiudiziali.
La richiesta più importante rivolta ai giudici di Lussemburgo è riassumibile così: qualora il trasferimento di un richiedente asilo che presenti problematiche particolarmente gravi di salute fisica o mentale provochi il rischio concreto di un peggioramento significativo e irrimediabile del suo stato di salute, ciò costituisce un trattamento inumano e degradante? In caso di risposta affermativa, lo Stato membro che ha avviato la procedura-Dublino è obbligato a fare ricorso alla clausola discrezionale ed esaminare lui stesso la domanda di protezione internazionale?

Il ragionamento della Corte
I giudici innanzitutto ricordano (par. 59 della sentenza) che il Regolamento Dublino deve essere interpretato e applicato nel pieno rispetto dei diritti fondamentali previsti dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea e che l’art. 4 di quest’ultima (divieto di pene o trattamenti inumani o degradanti) riveste un carattere assoluto.
Quindi, la Corte passa a sottolineare (par. 62-64) le differenze fra questo caso e il già citato caso NS e altri del 2011. Innanzitutto, con l’approvazione del Regolamento Dublino 3 (Reg. 604/2013), il legislatore europeo ha inteso apportare alcune migliorie anche in materia di diritti dei richiedenti asilo; in particolare, nel preambolo del nuovo Regolamento si fa un preciso rimando alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e all’art. 4 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea. Inoltre, l’art. 29 del Regolamento specifica più nel dettaglio (rispetto al “Dublino 2”) le modalità dei trasferimenti. Da tutto questo i giudici di Lussemburgo fanno derivare che (par. 65) il trasferimento di un richiedente asilo nel quadro di Dublino 3 può avvenire solo a patto che sia escluso che tale trasferimento possa comportare un rischio reale che l’interessato sia sottoposto a dei trattamenti inumani o degradanti. (“le transfert d’un demandeur d’asile dans le cadre du règlement Dublin III ne peut être opéré que dans des conditions excluant que ce transfert entraîne un risque réel que l’intéressé subisse des traitements inhumains ou dégradants, au sens de l’article 4 de la Charte.“)
Il fatto che la Croazia sia vincolata dalla Direttiva Accoglienza e quindi obbligata a offrire ai richiedenti asilo la cura e l’assistenza medica necessarie comporta una forte presunzione che i trattamenti offerti ai ricorrenti siano adeguati (par. 70). Inoltre, dal dossier dei ricorrenti non emergono “carenze sistemiche” nel sistema di asilo croato; al contrario, la Croazia ha fornito alla Slovenia assicurazione che i ricorrenti avrebbero accesso ai trattamenti necessari (par. 71).
Tuttavia, non è questo il punto.
Infatti, secondo la Corte (par. 73 e 74), è il trasferimento in sé di un richiedente asilo il cui stato di salute (fisica o mentale) sia particolarmente grave a comportare il rischio reale di trattamenti inumani o degradanti, indipendentemente dalla qualità dell’accoglienza ricevuta nello Stato di destinazione (“dans des circonstances dans lesquelles le transfert d’un demandeur d’asile, présentant une affection mentale ou physique particulièrement grave, entraînerait le risque réel et avéré d’une détérioration significative et irrémédiable de son état de santé, ce transfert constituerait un traitement inhumain et dégradant, au sens dudit article.“).

Allorché un richiedente asilo produce elementi oggettivi (fra cui la Corte cita i certificati medici) tali da dimostrare la gravità del suo stato di salute e le conseguenze significative e irrimediabili che deriverebbero da un trasferimento, ciò non può essere ignorato dalle autorità, che devono eliminare ogni serio dubbio sull’impatto del trasferimento, senza peraltro potersi limitare a considerare le conseguenze del trasporto in senso “fisico” ma, in caso di grave problema psichiatrico, dovendo considerare l’insieme delle conseguenze significative e irrimediabili. (par. 75 e 76)

La Corte procede (par. 77-83) elencando le varie possibili precauzioni previste nel Regolamento Dublino 3 (come la comunicazione fra i due Stati coinvolti e l’organizzazione del viaggio, ad esempio prevedendo un accompagnamento medico).
Se si ritiene che tali precauzioni siano sufficienti, esse allora dovranno essere messe in atto. Viceversa, le autorità dovranno sospendere l’esecuzione del trasferimento fino a che lo stato di salute non sia idoneo. Nel caso in cui si possa prevedere che lo stato di salute non migliorerà a breve (o che la sospensione rischi di aggravare lo stato di salute dell’interessato), lo Stato membro che aveva richiesto il trasferimento potrà considerare di esaminare la domanda di protezione internazionale, ricorrendo alla “clausola discrezionale” di cui all’art. 17 comma 1 del Regolamento Dublino, senza tuttavia che ciò comporti un obbligo per lo stesso Stato. In ogni caso, scaduto il termine dei sei mesi previsti dall’art. 29 comma 1 del Regolamento, lo Stato membro responsabile è liberato dal suo obbligo di prendere in carico il richiedente e la responsabilità passerebbe allo Stato richiedente. (par. 84-89).
Da ultimo, i giudici tornano sulla questione delle carenze sistemiche, affermando che la possibilità per gli Stati di trasferire i richiedenti asilo ignorando rischi concreti di trattamenti inumani o degradanti solo perché questi non derivano da carenze sistemiche nei sistemi di asilo dello Stato di destinazione sarebbe incompatibile con l’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che vieta in maniera assoluta tali trattamenti, sotto ogni forma. Non si tratta di mettere a repentaglio il principio di fiducia reciproca fra gli Stati membri o la presunzione che in ciascuno di essi i diritti umani siano rispettati, ma di assicurare che le situazioni eccezionali siano adeguatamente considerate. (“ladite interprétation respecte pleinement le principe de confiance mutuelle dès lors que, loin d’affecter l’existence d’une présomption de respect des droits fondamentaux dans chaque État membre, elle assure que les situations exceptionnelles envisagées dans le présent arrêt sont dûment prises en compte par les États membres.“)

Commento
La sentenza di cui ci siamo occupati oggi permette alla Corte di Giustizia di tornare su un argomento molto delicato: come conciliare le esigenze del Regolamento Dublino (individuare rapidamente lo Stato membro responsabile per l’esame delle domande di asilo presentate nell’Unione europea) con il rispetto dei diritti dei richiedenti. Se in pronunce precedenti i giudici di Lussemburgo si erano limitati a stabilire il divieto di trasferire verso Stati alle prese con “carenze sistemiche” nei loro sistemi di asilo (pronunce poi raccolte dal legislatore europeo e tradotte nell’attuale art. 3 del Regolamento Dublino 3), qui la Corte va decisamente oltre. Deve trattarsi naturalmente di situazioni eccezionali e ben documentate (ad es. con certificati medici). Tuttavia, la Corte precisa – molto opportunamente e uniformandosi alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo – che non solo le condizioni nello Stato di destinazione ma anche il trasferimento in sé del richiedente asilo può in certi casi  – sulla base della condizione di salute di quest’ultimo – avere delle conseguenze che possono considerarsi equivalenti a trattamenti proibiti.

Vai alla sentenza della Corte di Giustizia

Per approfondire:
http://eumigrationlawblog.eu/escale-a-canossa-la-protection-des-droits-fondamentaux-lors-dun-transfert-dublin-vue-par-la-cour-de-justice-c-k-c-slovenie-c-57816-ppu/#more-1390

http://eulawanalysis.blogspot.it/2017/02/the-dublin-system-ecj-squares-circle.html