1) Gabriele, dopo il grande successo della raccolta fondi per “Io sto con la sposa”, viene naturale chiederti quali motivazioni vi hanno spinto a concretizzare un progetto così ambizioso.

Mentirei se ti dicessi che abbiamo riflettuto molto alla realizzazione di questo progetto. La verità è che ci siamo innamorati di un’idea arrivata per caso. Un giorno a Milano abbiamo conosciuto un ragazzo siriano in stazione. Veniva dalla guerra, era sopravvissuto a un naufragio e stava cercando un contrabbandiere per proseguire il viaggio verso la Svezia. Io ero appena tornato dalla guerra in Siria, Khaled e Antonio erano scossi dai naufragi di Lampedusa di ottobre. Quando ne abbiamo parlato, ci è sembrato che dovevamo fare qualcosa. Le motivazioni vanno cercate nei nostri vissuti. Da anni siamo a contatto con le storie drammatiche di chi ha perso i propri cari in mare o sotto le bombe in Siria. L’eco di quelle storie ci ha dato la certezza che stavamo facendo la cosa giusta. Adesso speriamo che il film contribuisca a spingere un po’ più in là il dibattito sulla libera circolazione.


2) Quali sono stati gli ostacoli che vi siete trovati ad affrontare nella realizzazione del film? E quali le reazioni delle persone incontrate nel corso del viaggio (incluse le forze dell’ordine)? C’è qualche aneddoto in particolare che hai voglia di raccontare?

Il primo ostacolo è stato il tempo. Per fare un film servono settimane e mesi di riprese. Noi avevamo soltanto quattro giorni a disposizione, il tempo del viaggio da Milano a Stoccolma. Dovevamo scendere a patti con la realtà. Perché i nostri protagonisti rischiavano di essere fermati in frontiera e noi con loro. Più tempo ci fermavamo in giro, più i rischi aumentavano. E poi loro l’asilo lo dovevano chiedere per davvero, e con l’asilo il ricongiungimento familiare per tirare fuori i propri cari dalla guerra. Anche per questo avevano tutti fretta di arrivare. Fortunatamente lungo l’autostrada non abbiamo mai incontrato posti di blocco, ma soltanto delle pattuglie, delle volanti, che non ci hanno mai intimato di fermarci, anche perché chi sospetterebbe mai di un corteo nuziale… In compenso una volta alla stazione di Copenaghen mentre prendevamo il treno per la Svezia, siamo passati davanti a un poliziotto danese il quale si è limitato a farci gli auguri in inglese: “Congratulations!”, segno che il travestimento reggeva!


3) Questo film mette sul banco degli imputati la normativa europea che di fatto “blocca” i richiedenti protezione internazionale nel primo paese di arrivo. A tuo avviso il Regolamento Dublino è “riformabile”? Quali potrebbero essere altre opzioni concretamente praticabili?

Dal punto di vista politico, noi crediamo alla libera circolazione. Ovvero al diritto di qualsiasi essere umano di poter circolare liberamente su questa terra. Siano essi ragazzi in avventura o profughi di guerra. Se invece vogliamo volare più basso e pensare a come allargare le maglie delle attuali normative europee, ci sembra evidente che l’Europa dovrebbe dotarsi un sistema unico di asilo. Perché è assurdo che nel 2014 per andare da Milano a Berlino o a Stoccolma uno debba pagare un autista del contrabbando una cifra di mille euro e più anziché prendere un volo lowcost come fa qualunque cittadino europeo. Se l’Europa vuole essere una, dovrebbero prevedere un unico sistema di asilo, a prescindere dal paese in cui uno richiede protezione. Un po’ come il visto che è europeo e vale per tutta l’area Schengen, così l’asilo dovrebbe essere un asilo europeo, non nazionale, e poi le persone dovrebbero essere libere di poter viaggiare ed eleggere dimora dove vogliono dentro l’Unione Europea. 


4) Da anni ti occupi di documentare i viaggi che hanno trasformato il Mar Mediterraneo e in generale le frontiere esterne dell’Unione europea in un luogo di morte per migliaia e migliaia di persone in cerca di un futuro migliore. Una grande novità nel panorama europeo – per quanto certamente non risolutiva – è senza dubbio rappresentata dall’operazione italiana Mare nostrum. Qual è la tua opinione a riguardo?

Mare Nostrum ha contribuito al salvataggio di decine di migliaia di vite umane. E questo non può che fare onore alla Marina Militare italiana, che soltanto pochi anni fa era invece impiegata per fare i respingimenti in Libia, pratica poi condannata dalla Corte europea per i diritti umani. Il problema è che, per quanto lodevole, questo tipo di interventi si limita alla gestione dell’emergenza e non interviene alla radice del problema. E la radice del problema è l’accesso alla mobilità. Chi sbarca a Lampedusa proviene dai paesi con i più alti tassi di diniego dei visti nelle ambasciate europee: Siria, Somalia, Iraq, Afghanistan, Eritrea, Algeria, Nigeria, Mali… Non è una mera coincidenza. Ma la conseguenza delle politiche di chiusura della fortezza Europa. Se chiudiamo i canali legali, la domanda di emigrazione si sposta sui canali del contrabbando. È una legge molto antica. Se vogliamo smettere di contare i morti in mare bisogna “legalizzare” il viaggio, ovvero permettere a quei centomila che ogni anno attraversano il mare, di viaggiare in aereo con un visto delle nostre ambasciate sui loro passaporti. E per farlo bisogna semplificare le regole dei visti. L’alternativa è la guerra in frontiera, ovvero il proseguo delle politiche di 
immobilità degli ultimi vent’anni che hanno causato nel Mediterraneo almeno ventimila morti. 


5) Il film ha ricevuto una bellissima accoglienza a Venezia. Ci vuoi raccontare come è andata e se te la aspettavi? Avete già pensato a come ripartire da questo successo per ulteriori progetti?”

L’accoglienza di Venezia è stata straordinaria. Diciassette minuti di standing ovation, la stampa impazzita per il nostro white carpet di spose, una commemorazione commovente dedicata ai morti in mare sul confine, tre premi… Non potevamo sperare di meglio. Ed è stato il migliore lancio possibile per il nostro film. L’obiettivo infatti è quello di uscire dai soliti circoli. Non siamo snob, non vogliamo parlare agli esperti da convegno sull’immigrazione. Vogliamo raggiungere il grande pubblico, provare a sdoganare l’idea della libera circolazione con questa gran bella storia. E se il buon giorno si vede dal mattino, ci stiamo riuscendo! Prossimi progetti? Una bella vacanza, visto che undici mesi stiamo lavorando sette giorni su sette a questo progetto. Una fatica immensa, ripagata ampiamente dal calore con cui il pubblico sta accogliendo il film. A proposito, dal 9 ottobre saremo al cinema! Passate parola!


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