Il 4 maggio scorso, giorno in cui Asilo in Europa illustrava, al convegno “L’Agenda UE sulle migrazioni: un anno in rotta”, gli eventi più significativi dell’anno segnato dall’Agenda europea sulla migrazione, nonché gli elementi di debolezza del meccanismo temporaneo di ricollocazione adottato dall’Unione europea in attuazione dell’Agenda stessa, la Commissione europea presentava al Parlamento europeo e al Consiglio dell’UE una proposta di riforma del regolamento Dublino III. Si tratta di una proposta che era molto attesa e che sarà ora oggetto di negoziati fra Parlamento e Consiglio (e all’interno degli stessi) prima di arrivare, forse, a vedere la luce. Nelle prossime righe presentiamo le novità più importanti e alcune nostre considerazioni. 





Il contesto
In attuazione degli impegni assunti in seno all’Agenda UE, il 6 aprile 2016 la Commissione europea ha pubblicato una comunicazione volta a illustrare le tappe della prossima riforma del sistema europeo comune di asilo (CEAS).
In conformità a questo piano di riforme, il 4 maggio 2016 la stessa Commissione ha presentato un pacchetto di proposte – riforma del regolamento 604/2013 (Dublino III), riforma del regolamento 603/2013 (Eurodac) e riforma del regolamento 439/2010, che istituisce l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO) – definendolo come il primo passo verso la riforma globale del CEAS, cui seguirà una seconda fase di proposte legislative di riforma delle direttive qualifiche, condizioni di accoglienza e procedure.
Nella comunicazione del 6 aprile la Commissione scriveva che “La politica europea in materia di asilo e migrazione presenta notevoli carenze e punti deboli, tanto nella concezione quanto nell’attuazione, che la crisi ha fatto emergere. (…)

[In particolare, tra le altre] il sistema Dublino non è stato concepito per garantire una distribuzione sostenibile delle responsabilità nei confronti dei richiedenti asilo nell’ambito dell’UE, e questa carenza è stata messa in rilievo dall’attuale crisi (…)”.

E’ interessante evidenziare fin da subito alcuni dati che la Commissione presenta nell’introdurre la proposta di cui ci occupiamo oggi. 
In particolare (come si legge nell’Explanatory memorandum, a pag. 10): nel 2014 il numero totale di “richieste-Dublino” (sia di presa sia di ripresa in carico, su questo si veda la nostra scheda, in particolare l’analisi degli artt. 18 e 19) è stato 84.586, pari al 13% del totale di domande di asilo presentate nell’UE. Di queste, il 67% sono state accettate dallo Stato individuato come responsabile (che ha dunque riconosciuto la sua competenza) ma appena il 25% delle richieste accettate sono poi state seguite da un effettivo trasferimento del richiedente nel Paese responsabile. Dunque, grosso modo, stiamo parlando di appena 14.000 persone in un anno! All’interno di un continente, è sempre bene ricordarlo, di più di 500 milioni di abitanti. E a fronte di un costo stimato (sono sempre dati contenuti nell’Explanatory memorandum, a pag. 12) che si aggira intorno al miliardo di Euro. Ma non è tutto: la Commissione stima al 42% la percentuale di “dublinanti” non trasferiti che vivrebbero in condizione di irregolarità nell’UE. 
Dunque, un sistema inefficace, costoso e che produce irregolarità.

“Houston, abbiamo un problema”. 
O, per dirla con le parole della Commissione (“Explanatory memorandum”, pagg. 3 e 4), “è chiaro che il sistema Dublino deve essere riformato”, per (i) migliorarne la capacità di determinare – in modo efficiente ed effettivo – un singolo Stato membro responsabile; (ii) assicurare l’equa ripartizione delle responsabilità tra Stati membri (obiettivo nuovo questo, in quanto il “sistema Dublino” non si è mai preoccupato, fino a oggi, di distribuire le responsabilità, limitandosi a individuarle); (iii) scoraggiarne l’abuso nonché i movimenti secondari nell’UE da parte dei richiedenti.
Come raggiungere questi obiettivi?


Le novità introdotte dalla proposta di riforma
La Commissione pretende di raggiungere gli obiettivi elencati sopra e di rimediare all’evidente fallimento del “sistema Dublino” mantenendo sostanzialmente invariata la gerarchia dei criteri Dublino, introducendo un sistema correttivo per la ripartizione equa delle responsabilità tra Stati, che riproduce gli elementi fallimentari dei meccanismi temporanei di ricollocazione già in uso e prevedendo a carico dei richiedenti asilo una serie di obblighi (e conseguenti sanzioni in caso di violazione) per limitare gli spostamenti all’interno dell’area degli Stati membri (con questa espressione intendiamo gli Stati vincolati dal Regolamento Dublino, cioè tutti gli Stati UE più Svizzera, Liechtenstein, Islanda e Norvegia).
Vediamo ora le proposte più da vicino.

Definizioni
La proposta amplia la definizione di “familiari”, per includere: (i) il/i fratello/i e la/e sorella/e del richiedente asilo; (ii) i legami creatisi nei Paesi terzi di transito, vale a dire dopo l’uscita dal Paese di origine e prima dell’arrivo sul territorio dello Stato membro.

Ambito di applicazione personale
La Commissione propone di estendere l’ambito di applicazione personale del Regolamento ai beneficiari di protezione internazionale (status di rifugiato e protezione sussidiaria) che si trovino in uno Stato membro diverso da quello che ha concesso loro la protezione. Ne consegue che, salvo che il secondo Stato rilasci un diverso titolo di soggiorno, lo Stato che ha riconosciuto la protezione internazionale deve riprendere in carico il beneficiario, sia che questi abbia presentato una nuova domanda di asilo sia che stia soggiornando irregolarmente nel secondo Stato.

Criteri per la determinazione dello Stato competente
La gerarchia dei criteri  per la determinazione dello Stato membro competente a esaminare una domanda di asilo resta immutata.
Tuttavia, la Commissione propone di introdurre un esame preliminare – che dovrebbe essere condotto, prima dell’applicazione dei criteri per la determinazione della competenza, dal primo Stato membro in cui è presentata la domanda di asilo – sulla ammissibilità della domanda e sulla sussistenza di una delle situazioni precisate per l’esame della stessa con procedura accelerata. Torneremo su questo punto più approfonditamente in seguito. 
Inoltre, la Commissione propone anche delle piccole ma importanti modifiche ai singoli criteri. 
Nei confronti dei richiedenti MSNA privi di familiari o parenti nell’UE, la Commissione – contraddicendo peraltro la decisione della Corte di giustizia UE nel caso M.A. (da noi analizzata qui) e, di conseguenza, una sua precedente proposta di modifica del Regolamento Dublino volta a trasporre in norma detta decisione – propone di individuare la competenza nel primo Stato membro in cui il MSNA ha presentato la domanda di asilo, salvo che si dimostri che questa scelta contrasta con l’interesse superiore del minore.
Sul criterio derivante dal rilascio di un permesso di soggiorno o visto d’ingresso, in linea con le altre proposte di riforma, si esclude che l’allontanamento del richiedente dal territorio degli Stati membri faccia cessare la competenza dello Stato che li ha emessi, quando siano scaduti rispettivamente da non più di due anni (permesso di soggiorno) e di 6 mesi (visto).
Relativamente al criterio del primo ingresso irregolare, la Commissione propone esclusivamente di eliminare quelle disposizioni che ne limitano l’operabilità nel tempo, vale a dire che dispongono la cessazione della competenza dello Stato membro in conseguenza del decorso di 12 mesi dall’ingresso irregolare del migrante sul suo territorio, ovvero del soggiorno continuato di almeno 5 mesi dello stesso migrante sul territorio di un altro Stato membro prima di presentarvi domanda di asilo.
Peraltro, la Commissione propone di eliminare anche le disposizioni, di applicazione generalizzata, sulla cessazione della competenza di uno Stato per assenza prolungata (3 mesi) dal territorio degli Stati membri ovvero per allontanamento effettivo del richiedente a seguito di decisione negativa sulla (o ritiro della) sua domanda di asilo.
Con riferimento alle clausole di deroga facoltativa ai criteri (o clausole discrezionali), già oggi ben poco utilizzate (Explanatory Memorandum, pag. 10) la Commissione propone di rendere più stringenti le condizioni per la loro applicazione, prevedendo che possano essere esercitate solo per far valere legami familiari non coperti dalla definizione del Regolamento ovvero al fine di permettere il ricongiungimento di persone legate da qualsiasi vincolo di parentela.

Procedura
La proposta, come accennato sopra, introduce una fase preliminare di competenza esclusiva del primo Stato membro in cui il richiedente ha presentato la sua domanda di asilo volta a:
1) accertare l’ammissibilità della domanda in ragione del Paese terzo di provenienza del richiedente (Paese terzo sicuro o Paese di primo asilo);
2) anticipare la decisione sull’adozione della procedura accelerata per l’esame della domanda, nei casi in cui si accerti che il richiedente asilo proviene da uno dei Paesi inclusi nella lista UE dei Paesi di origine sicuri ovvero rappresenta una minaccia per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico dello Stato membro ovvero, ancora, è stato già rimpatriato in modo forzoso per ragioni gravi di sicurezza o ordine pubblico.
La decisione di inammissibilità (nel primo caso) e quella relativa alla necessità di avviare una procedura accelerata (nel secondo caso) comportano l’attribuzione della competenza allo stesso Stato in cui il richiedente ha presentato domanda di asilo. Pertanto, se il richiedente proviene da un Paese terzo sicuro ovvero è stato riconosciuto rifugiato e può avvalersi di tale protezione o gode altrimenti di protezione sufficiente in un altro Paese (detto di primo asilo), la domanda sarà dichiarata inammissibile e le fasi successive della procedura – ricorso contro la decisione di inammissibilità, espulsione verso lo Stato terzo interessato – resteranno di competenza del primo Stato membro in cui il richiedente ha presentato domanda. Così come resterà di sua competenza l’esame di questa domanda con procedura accelerata, se il richiedente proviene da un Paese di origine sicuro ovvero rappresenta un pericolo per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico dello Stato membro o è stato già espulso per questi motivi. Pertanto, solo in caso di ammissibilità della domanda di asilo e di assenza delle condizioni per il suo esame con procedura accelerata, il primo Stato in cui il richiedente l’ha presentata darà avvio alla procedura di determinazione dello Stato membro competente ai sensi dei criteri Dublino.

Con riferimento ai termini delle varie fasi della procedura – richiesta di presa in carico e risposta, notifica di ripresa in carico, decisione di trasferimento – la Commissione propone di accelerarli. Peraltro, fatta eccezione per il termine di 1 mese (2 settimane in caso di rilevamento Eurodac o VIS) per rispondere a una richiesta di presa in carico, propone anche che il mancato rispetto delle nuove scadenze non comporti più una modifica automatica della competenza.
Sulla procedura di ripresa in carico, la proposta di riforma contempla una semplificazione, volta a sostituire la richiesta di ripresa in carico con una mera notifica della stessa da parte dello Stato d’invio, senza pertanto che sia più necessario attendere la risposta dello Stato di destinazione.
Per il trasferimento dei MSNA, la Commissione propone l’introduzione di garanzie rafforzate volte a subordinare la sua finalizzazione alla verifica della presenza nello Stato membro di destinazione delle condizioni di accoglienza e delle procedure contemplate dalle direttive UE, ovvero alla disponibilità dello stesso Stato di adottare tutte le misure necessarie.

Con riferimento alla procedura di ricorso avverso le decisioni di trasferimento Dublino, la Commissione propone di introdurre un termine per ricorrere (7 giorni) e un termine entro il quale i giudici dovranno pronunciarsi sul merito (15 giorni), nonché di introdurre l’automaticità dell’effetto sospensivo del ricorso. Inoltre, si propone di precisare e, quindi, limitare i possibili motivi di ricorso alla violazione del divieto di trasferire un richiedente verso uno Stato in cui rischia di subire trattamenti inumani o degradanti, alla violazione dei criteri collegati alla minore età del richiedente e all’esistenza di legami familiari, e a quella dell’obbligo derivante dalla clausola sulle persone a carico.
Per quel che riguarda le decisioni che riconoscono la competenza nazionale, escludendo pertanto il trasferimento, la proposta di riforma contempla la possibilità del richiedente di impugnarle per far valere la competenza dello Stato membro in cui risiede legalmente un suo familiare e, se il richiedente è un MSNA, anche un suo parente (per la distinzione tra familiare e parente si vedano le definizioni di cui all’art. 2 lett. g e h).
Inoltre la Commissione propone di istituire la rete delle Unità Dublino.

Obblighi e sanzioni
La proposta mira a introdurre l’obbligo per i richiedenti asilo di fare domanda nello Stato di primo ingresso irregolare o di soggiorno regolare. Di tale obbligo non vi è traccia finora nel diritto UE. 
Inoltre, al fine di migliorare efficacia ed efficienza del sistema, la Commissione precisa meglio gli altri obblighi del richiedente: (i) presentare tempestivamente tutte le informazioni utili per la determinazione dello Stato competente; (ii) essere presente e disponibile rispetto alle richieste dell’autorità competente; (iii) rispettare la decisione definitiva di trasferimento.
Le conseguenze per chi viola tali obblighi non sono banali. Per chi non presenta la domanda nello Stato di primo ingresso irregolare o soggiorno regolare è previsto l’esame della domanda di asilo con procedura accelerata (si noti che la Direttiva Procedure attualmente non prevede la possibilità di ricorrere a una procedura accelerata in questo caso). Nel caso i) è prevista l’irrilevanza giuridica delle informazioni presentate in ritardo, nel caso (ii) la determinazione in contumacia dello Stato membro competente. 
Ma è nei confronti di chi si sposta senza autorizzazione che è prevista la conseguenza più pesante, cioè il diniego delle misure di accoglienza – tranne l’assistenza sanitaria d’urgenza – in qualunque Stato membro ad eccezione di quello dove dovrebbe trovarsi in attesa che la procedura-Dublino sia terminata. Tale misura, qualora venisse mai approvata, sarebbe in contrasto con la Direttiva Accoglienza attualmente in vigore, ai sensi della quale le misure di accoglienza possono essere rifiutate, ridotte o revocate da uno Stato soltanto in presenza di determinate circostanze, fra cui non compare quella in oggetto (in proposito si veda anche la sentenza della Corte di Giustizia UE nel caso Cimade e Gisti, C-179/11, del 27 settembre 2012, da noi analizzata qui
Con riferimento agli obblighi degli Stati membri, la proposta di riforma precisa che spetta a questi ultimi: (i) garantire che il richiedente riceva una informazione dettagliata rispetto ai diritti e obblighi derivanti dal Regolamento; (ii) conservare la competenza rispetto a qualsiasi azione successiva proposta dal richiedente di cui ha esaminato la domanda di asilo, anche quando si è allontanato o è stato allontanato dal territorio degli Stati membri; (iii) non concedere misure di accoglienza ai richiedenti che non sono di loro competenza; (iv) riprendere in carico il beneficiario di protezione internazionale che abbia fatto domanda ovvero sia presente irregolarmente in un altro Stato membro.

Meccanismo di allocazione correttivo
Al fine di garantire una gestione più efficiente ed equa delle situazioni di afflusso sproporzionato di richiedenti asilo negli Stati membri, la Commissione propone di introdurre un meccanismo correttivo di ripartizione delle responsabilità tra Stati, che – eccezion fatta per le domande inammissibili – comporta l’assegnazione automatica delle domande di asilo nuove ad altri Stati membri, quando il numero di quelle di competenza dello Stato posto sotto pressione abbia raggiunto il limite massimo previamente individuato.
Il meccanismo proposto è così caratterizzato:

  1. la quota di riferimento (o capacità massima) di uno Stato è calcolata in base a una chiave di calcolo che ripartisce i richiedenti asilo fra gli Stati membri secondo due criteri aventi lo stesso peso, il numero di abitanti  (50%) e il PIL (50%)
  2. la ripartizione avviene grazie a un sistema di registrazione e monitoraggio delle domande di asilo, gestito dall’agenzia eu-LISA, che aggiorna in tempo reale i dati sulle richieste di asilo in ciascuno Stato membro, facendo riferimento ai 12 mesi precedenti;
  3. al numero di domande presentate sul territorio di uno Stato membro e definite come di sua competenza – incluse quelle risultate tali in esito al menzionato esame preliminare –  va aggiunto quello delle persone reinsediate da Paesi terzi nell’anno di riferimento;
  4. il flusso di richiedenti asilo si considera sproporzionato quando il numero di domande presentate sul territorio di uno Stato membro e di sua competenza (più il numero delle persone reinsediate) supera il 150% della sua quota di riferimento; 
  5. fino a quando il numero delle domande di asilo presentate sul territorio di uno Stato membro non scende sotto il 150% della quota di riferimento, tutti i nuovi richiedenti (indipendentemente dalla nazionalità) – dopo l’accertamento della ammissibilità della loro domanda ma prima della determinazione dello Stato membro competente a trattarla – dovranno essere ricollocati proporzionalmente negli altri Stati membri, che non abbiano superato la loro capacità massima;
  6. uno Stato può decidere di non prendere parte al meccanismo correttivo, ma al termine dei 12 mesi di riferimento dovrà corrispondere agli Stati membri che abbiano assunto la responsabilità in sua sostituzione un contributo di solidarietà di 250.000 euro per ogni richiedente;
  7. lo Stato membro beneficiario può decidere di non ricollocare i richiedenti, le cui domande sarebbero di sua competenza conformemente ai criteri collegati alla minore età del richiedente e all’esistenza di legami familiari, ovvero in virtù della clausola sulle persone a carico;
  8. nel procedere alle ricollocazioni, è salvaguardato il rispetto del principio dell’unità familiare;
  9. prima dell’effettiva ricollocazione, lo Stato membro di destinazione si fa carico dell’accertamento della pericolosità del richiedente asilo sulla base delle impronte trasmesse dallo Stato beneficiario e, laddove questi risulti rappresentare un pericolo per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico, la ricollocazione è annullata e il primo Stato avvia l’esame della domanda di asilo con procedura accelerata;
  10. dopo il trasferimento, lo Stato di ricollocazione si fa carico dell’accertamento dello Stato membro competente ai sensi dei criteri Dublino (fatta eccezione per quelli derivanti da ingresso irregolare e rilascio di titolo di soggiorno/visto);
  11. qualora lo Stato di ricollocazione individui la competenza della domanda di asilo in un altro Stato membro (anche quello originariamente “beneficiario”, che non è esplicitamente escluso), procederà al trasferimento del richiedente verso quest’ultimo.

In considerazione della previsione di questo nuovo strumento, la Commissione propone di eliminare il meccanismo di allerta rapido, di preparazione e di gestione delle crisi (attuale art. 33 del Regolamento Dublino III, mai utilizzato), i cui obiettivi peraltro dovrebbero rientrare nel mandato della nuova Agenzia sull’asilo, che dovrebbe sostituire l’EASO.


Carenze del Dublino III e novità del Dublino IV a confronto
Alla luce di quanto sopra riportato, non resta che verificare se le novità della proposta di riforma presentata dalla Commissione sono in grado di perseguire gli obiettivi dichiarati, colmando per l’effetto le carenze del Dublino III.

La proposta può dirsi idonea a garantire l’individuazione rapida dello Stato membro competente e, pertanto, l’accesso rapido del richiedente alla procedura di asilo?
Se sicuramente la riduzione dei termini così come la sostituzione della richiesta di ripresa in carico con una mera notifica e l’istituzione di una rete delle unità Dublino possono dirsi (a priori) modifiche idonee a snellire la procedura, altre novità proposte vanno esattamente nella direzione contraria.
Questo è il caso dell’introduzione di una nuova fase preliminare, volta ad eseguire una selezione iniziale tra richiedenti asilo ”trasferibili” e “non trasferibili”.  Non serve nemmeno sottolineare l’allungamento dei tempi e l’appesantimento in termini di carico di lavoro che questa novità potrebbe comportare, pensando alla necessità per gli Stati membri di prevedere una nuova procedura e un’autorità competente a livello nazionale nonché alla possibilità che il richiedente presenti un ricorso contro la decisione di inammissibilità o di trattare la sua domanda con procedura accelerata. 
Con lo stesso occhio critico occorre guardare anche al meccanismo correttivo di allocazione, laddove si stabilisce che la determinazione dello Stato membro competente spetta allo Stato di ricollocazione e che pertanto quest’ultimo (a sua volta), dopo aver ricollocato sul suo territorio il richiedente, valuterà se trasferire quest’ultimo verso un terzo Stato membro (quello competente, infine, a valutare la domanda di asilo). Insomma, la ricollocazione potrebbe essere solo un passaggio intermedio, in attesa della definizione della competenza all’esame della domanda. Detta altrimenti, se oggi sono coinvolti soltanto lo Stato che avvia la procedura Dublino e lo Stato eventualmente individuato come competente a esaminare la domanda di asilo, in futuro – se questa proposta venisse mai approvata – potranno essere coinvolti 1) lo Stato che riceve la domanda e beneficia della ricollocazione, 2) lo Stato che ricolloca il richiedente sul suo territorio e 3) lo Stato eventualmente individuato come competente a esaminare la domanda…
Senza dimenticare che lo Stato membro beneficiario della ricollocazione, prima di trasferire il richiedente asilo, deve inviare allo Stato destinatario  le informazioni rilevanti, affinché quest’ultimo possa procedere alla valutazione della  pericolosità del richiedente.

La proposta può dirsi idonea a garantire una ripartizione più equa delle responsabilità?
La Commissione dice di voler raggiungere questo obiettivo attraverso l’introduzione di un meccanismo di allocazione correttivo, che si attiva automaticamente ogni qualvolta gli Stati membri si trovino a dover affrontare numeri sproporzionati di richiedenti asilo.
Ricordiamo innanzitutto che si tratta di un obiettivo nuovo, dal momento che il Regolamento Dublino non è mai stato pensato (fin dal suo antenato, la Convenzione di Dublino del 1990) come un meccanismo per ripartire le responsabilità. L’importante afflusso di richiedenti asilo in questi anni e le proteste dei Paesi “di frontiera” hanno portato dapprima alle Decisioni “emergenziali” del 2015 (da noi esaminate qui), e poi a questa nuova proposta.
Se da un lato l’idea di prevedere un meccanismo di solidarietà strutturale, non emergenziale, che si attivi automaticamente, può risultare convincente, dall’altro sono troppe le motivazioni che ci spingono a ritenere, ancora una volta (e a malincuore), che la soluzione proposta dalla Commissione non possa dirsi idonea a raggiungere l’obiettivo prefissato. 
Innanzitutto, il criterio dello Stato di primo ingresso è preservato e, addirittura, rafforzato dalla previsione esplicita dell’obbligo del richiedente di formalizzare lì la sua domanda di asilo (pena l’esame della domanda di asilo secondo una procedura accelerata) nonché dalla modifica del criterio che individua lo Stato competente a esaminare le domande dei MSNA senza familiari o parenti negli Stati membri (quello dove è presentata la prima domanda, che dovrebbe coincidere con quello di primo ingresso). Inoltre, gli effetti della proposta (certamente positiva) di ampliare la nozione di familiare saranno con tutta probabilità attenuati da quella di restringere l’ambito di applicazione delle clausole discrezionali (fino ad oggi presentate invece come possibile misura solidale, se applicate in maniera più ampia). A tutto questo si aggiunga che il nuovo “esame preliminare” (V. sopra) è sempre di competenza del primo Stato in cui il richiedente ha presentato una domanda (che dovrebbe coincidere con quello di primo ingresso).
Ma è anche lo stesso meccanismo correttivo di allocazione in sé a non convincerci e anzi a spingerci a ritenere che, come i suoi predecessori, anch’esso sia destinato a fallire. E il motivo è sempre lo stesso: le opinioni dei principali destinatari di queste regole non sono minimamente tenute in conto, la loro collaborazione non è considerata importante. La proposta non prevede nemmeno più quella timida apertura che pure avevamo riscontrato nelle Decisioni “emergenziali” del 2015, le quali prevedono (nel Preambolo, dunque nella parte non vincolante dell’atto) che, “nel determinare lo Stato membro di ricollocazione si dovrebbe tenere conto, in particolare, delle qualifiche e delle caratteristiche specifiche dei richiedenti interessati, quali le loro competenze linguistiche e altre indicazioni individuali basate su dimostrati legami familiari, culturali o sociali”.
Certo, il fatto che questo meccanismo di ricollocazione non discrimini più i richiedenti asilo in base alla nazionalità – potranno essere ricollocati anche i richiedenti asilo non in evidente bisogno di protezione internazionale – è un passo in avanti. Tuttavia, è plausibile che questa scelta disincentiverà ancora di più la partecipazione degli Stati membri già ostili al meccanismo e costituirà un elemento di forte scontro in sede di discussione e approvazione di questa proposta.
Vogliamo da ultimo evidenziare che, esattamente come sottolineammo già quando venne proposto il  meccanismo di ricollocazione (che pure all’epoca venne accolto con grande favore dai più), una tale procedura per essere efficace presuppone inevitabilmente la restrizione della libertà personale in fase di pre-screening. I fatti ci stanno, tristemente, dando ragione.

La proposta può dirsi idonea a scoraggiare gli abusi e prevenire i movimenti secondari?
La Commissione dice di voler raggiungere questo obiettivo (i) precisando gli obblighi del richiedente e le sanzioni per la loro trasgressione – obbligo di fare domanda nel primo Stato di ingresso (pena l’esame del suo caso con procedura accelerata) e obbligo di restare nello Stato individuato come responsabile (pena la limitazione delle misure di accoglienza); (ii) introducendo una definizione più allargata di “familiari”; (iii) stabilendo che lo Stato membro competente per la domanda di asilo del MSNA, che non abbia familiari o parenti in un altro Stato, è quello in cui questi ha presentato la prima domanda; (IV) allargando l’ambito di applicazione del Regolamento ai beneficiari di status.
Rispetto alla prima proposta di modifica, abbiamo già espresso i nostri dubbi circa la legittimità delle sanzioni previste. 
Con riferimento alla (benvenuta) proposta di ampliamento della nozione di familiare, essa è destinata ad avere un impatto limitato, per quanto positivo, anche in considerazione della difficoltà nel provare i legami familiari. 
La proposta di attribuire la competenza della domanda di asilo del MSNA, che non abbia familiari o parenti negli Stati membri, al primo Stato in cui è presentata la domanda può effettivamente contribuire, in linea teorica, a ridurre i movimenti secondari: oggi, grazie alla sentenza M.A., lo Stato competente è l’ultimo nel quale il richiedente MSNA si trova dopo avervi chiesto asilo; domani potrebbe non essere più così e, di conseguenza, l’incentivo a spostarsi potrebbe venire meno. Tuttavia, non va mai dimenticato che stiamo parlando di minori (particolarmente vulnerabili perché privi di adulti responsabili in tutto il territorio degli Stati membri), per i quali deve essere sempre considerato il superiore interesse e per i quali dunque ogni trasferimento o ritardo nell’accesso alla procedura va sempre valutato molto approfonditamente (e in principio escluso, come ci ricordano i giudici di Lussemburgo). 
Quanto all’estensione dell’ambito di applicazione del Regolamento ai beneficiari di status, essa potrà effettivamente fornire agli Stati più interessati dall’arrivo di persone riconosciute “protette” altrove uno strumento giuridico in più per rinviare queste persone verso lo Stato “responsabile” (oggi questi rinvii avvengono sulla base di accordi bilaterali). Tuttavia, che questo possa realmente disincentivare i titolari di protezione dallo spostarsi (anche più volte, se necessario) dallo Stato che ha riconosciuto loro una protezione (ma dove spesso non intendono rimanere) a un altro Stato (dove spesso hanno reti familiari o amicali o “semplicemente” intravedono più opportunità lavorative) ci sembra francamente improbabile


Conclusioni
La proposta presentata il 4 maggio scorso dalla Commissione europea come “la riforma” del regolamento Dublino III non lo è affatto: salvo qualche modifica migliorativa dei termini procedurali, il trasferimento dei richiedenti asilo verso lo Stato membro competente è appesantito dall’introduzione di passaggi intermedi; fatta eccezione per la definizione allargata di “familiare”, nessuno dei criteri per la determinazione dello Stato membro competente è stato toccato, mentre il meccanismo correttivo di allocazione, così come strutturato, rischia di avviarsi a un fallimento del tipo di quello vissuto oggi dai meccanismi temporanei di ricollocazione: i cittadini di Paesi terzi che desiderano raggiungere i loro amici/parenti presenti in uno Stato membro diverso da quello in cui sono obbligati a registrare la loro domanda di asilo o a soggiornare continueranno a farlo.
In altre parole, messe da parte le poche modifiche positive degne di nota (che comunque evidenziamo in questo commento), in generale non riteniamo questa proposta idonea a garantire gli obiettivi dichiarati dalla Commissione in premessa, ovvero l’individuazione rapida dello Stato membro competente e, pertanto, l’accesso rapido del richiedente alla procedura di asilo, una ripartizione più equa delle responsabilità tra Stati membri e la lotta ad abusi e movimenti secondari.

In certi punti, poi, la proposta ci pare addirittura spingersi oltre quanto consentito, in particolare laddove si parla di negare le misure di accoglienza o di obbligo di presentare la domanda di asilo nel Paese di primo ingresso irregolare o di soggiorno regolare pena il ricorso a una procedura accelerata. Insomma, una proposta che ha bisogno di “incattivirsi” per tentare di raggiungere i suoi obiettivi.

La realtà è che, messe una accanto all’altra le proposte fin qui presentate o gli atti già approvati dalle istituzioni UE nell’ultimo anno, dall’adozione dell’Agenda UE sulle migrazioni in poi, l’impressione che ne ricaviamo, purtroppo, è desolante (trovate i nostri commenti e le nostre analisi precedenti alla pagina “La crisi dell’asilo in Europa”).
Il palese fallimento del Sistema europeo comune di asilo – il cui solo nome, ad oggi, appare “lunare” – e l’incapacità dell’Unione Europea a far fronte ad un numero elevato ma certo non insostenibile di arrivi derivano da molteplici fattori, uno dei quali è certamente rappresentato dall’ostinazione con cui gli Stati membri e le istituzioni UE continuano a voler disciplinare – in maniera sempre più burocratica e complessa, quindi terribilmente macchinosa e costosa – gli spostamenti di persone in un territorio che si vuole privo di controlli alle frontiere interne. Delle due l’una: o si rinuncia all’area Schengen (come non pochi sembrano ormai intenzionati a fare) e si segue l’esempio degli Stati che hanno costruito barriere, accettando tutte le conseguenze del caso (economiche, sociali, politiche….), senza peraltro avere la certezza che questo bloccherà i movimenti secondari (non ci risulta che il Regno Unito, fuori dall’area Schengen, non sia toccato dal fenomeno) o si prevedono soluzioni alternative. Soluzioni più snelle e realistiche, meno burocratiche, che prevedano – fra le altre cose – che chi ha ottenuto una protezione (europea) in un Paese possa poi liberamente cercare lavoro in un altro, con i giusti “contrappesi” per evitare che ciò si trasformi in un peso insostenibile per quelle aree dell’UE maggiormente prescelte per l’insediamento. Questo, da solo, eliminerebbe buona parte delle criticità del “sistema Dublino” che diventerebbe all’istante molto più accettabile da parte dei richiedenti asilo, con ovvie conseguenze anche sull’efficacia ed efficienza di un sistema che non può prescindere dalla collaborazione dei diretti interessati per funzionare,
Sappiamo bene quanto questo sia lontano dall’accadere. Sappiamo altrettanto bene quanto questa materia, proprio perché ha a che fare con persone in carne ed ossa (e volontà, aspirazioni, timori, vulnerabilità,…), sia estremamente complessa e non esistano soluzioni semplici. Ciò nonostante, non possiamo fare a meno di sottolineare ancora una volta come quella imboccata dall’Unione europea non sia a nostro parere la strada giusta per affrontare con la doverosa serietà un tema così decisivo.